COP 17 di Durban: c’è un accordo (di compromesso)

Nella notte di Sabato, un giorno oltre il termine di chiusura della Conferenza di Durban (COP 17), è stato raggiunto un accordo tra le Parti convenute in Sudafrica.

Un accordo che forse trova più scontenti che soddisfatti, anche perché il quadro generale dell'accordo non sembra oggettivamente essere né troppo ambizioso né comunque sufficiente per evitare serie conseguenze climatiche a livello globale: i delegati delle 194 nazioni presenti sono tornati a casa senza alcuna promessa concreta ed immediata per la riduzione delle emissioni antropogeniche di gas serra, la causa del riscaldamento climatico in atto.

Il rischio reale e concreto era quello di un fallimento completo della Conferenza, quindi il fatto che sia stato trovato il consenso su un accordo è sempre meglio di niente (e comunque pone le basi per accordi negoziali futuri), ma davvero questo accordo non basta per rallegrare chi crede nella necessità e nella urgenza di tutela del clima.

Ma analizziamo i contenuti generali di questo accordo e le scadenze della roadmap concordata a Durban, contenuta in 36 decisioni formali approvate nell’ultimo giorno di trattativa (rispetto alle 25 approvate alla precedente sessione di Cancún nel 2010), tutte disponibili sulla home page UNFCCC della conferenza (mentre qui si può invece scaricare il comunicato stampa del segretariato UNFCCC).


ACCORDO GLOBALE A PARTIRE DAL 2020
- Entro il 2015 dovrà essere definito un "nuovo protocollo, un altro strumento giuridico o concordato" (queste le tre opzioni legali identificate) che contenga impegni vincolanti per la riduzione delle emissioni, che dovranno essere attuati entro il 2020.

Durban non definisce quindi alcun obiettivo immediato di taglio di emissioni e prevede limiti temporali troppo lontani nel tempo, dato che la scienza è concorde nel sostenere che le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte entro il 2020, e non a partire dal 2020.

Scopo delle ruduzione è il cercare di contenere l’aumento delle temperature medie terrestri entro i 2 °C, il limite massimo dell’accettabilità delle conseguenze climatiche sul nostro globo (anche se c'è chi sostene che l'obiettivo dovrebbe essere collocato al massimo a +1,5 °C di crescita della temperatura media terrestre rispetto all'era pre-industriale), ma questo ritardo fa razionalmente ritenere però che si rischi seriamente di arrivare ad un aumento anche fino a +3°C dato che, per non superare la concentrazione in atmosfera di 450 ppm di CO2eq (concentrazione coerente con la soglia dei + 2 °C), le emissioni di anidride carbonica nel 2020 dovrebbero essere sullo stesso livello di oggi (mentre allo stato attuale ci si aspetta un incremento emissivo al 2020 di 6 GtCO2eq).

A fronte di tutto ciò, Greenpeace fa però notare nel suo comunicato stampa che -nonostante i tempi così ampi e poco incisivi di questo accordo- è addirittura prevista nell’accordo una clausola che darà possibilità di abbandono del trattatto: nel medesimo comunicato Greenpeace accusa i politici di aver ascoltato gli inquinatori invece di considerare le esigenze di tutela climatica a fronte delle pur gravi conseguenze previste.

Al momento presente, quindi, gli unici limiti di riduzione sono quelli collegati al "vecchio" Protocollo di Kyoto (che impegna i Paesi industrializzati a ridurre le emissioni del 5% entro il 2012 rispetto al livello che esse avevano nel 1990) e che non terminerà nel 2012 grazie alla decisione di  una estensione del Protocollo medesimo fino al 2017 (o 2020).


ESTENSIONE DEL PROTOCOLLO DI KYOTO
– E’ stato approvato un secondo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto, che partirà alla scadenza del primo periodo (cioè dal 1 gennaio 2013), con una durata variabile fino al dicembre 2017 o 2020 (da stabilirsi nella prossima della COP 18 di fine 2012): gli impegni delle Parti per questo accordo -già definito “Kyoto 2”- non sono stati decisi, ma saranno comunicati entro il 1 maggio 2012.

Questo accordo ha la funzione di fare da ponte verso l'accordo globale, ma vedrà la presenza dell’Europa e di pochi altri paesi industrializzati (oltre ai PVS), anche alla luce del fatto che Giappone, Russia e Canada hanno già detto di non voler partecipare alla sua seconda fase.

Quindi –allo stato attuale- non sono previsti prossimi impegni di riduzione per India, Cina e Brasile, Paesi che negli Anni ‘90 non avevano ancora conosciuto l’enorme sviluppo di questi ultimi anni, che li ha portati a diventare dei rilevanti inquinatori climatici (Cina in primis, che ha superato anche gli USA nell’ambito delle proprie emissioni climalteranti).


CREAZIONE DEL GREEN CLIMATE FOUND -
Una piccola nota positiva è che i delegati hanno approvato la creazione del Green Climate Found (di 100 miliardi di dollari entro il 2020) per aiutare i paesi più esposti ai rischi climatici nell’adattamento al riscaldamento globale: mancano indicazioni specifiche su come questo fondo sarà finanziato nel tempo, ma è però presente nell'accordo l’indicazione dei Paesi nei quali il Fondo verrà attuato (entro il 2012).


MECCANISMO TECNOLOGICO PER LO SVILUPPO
– Operativo dal 2012,  permetterà la condivisione di soluzioni tecnologiche per la mitigazione e l’adattamento.

Tra le varie altre attività identificate nell'accordo di Durban si ricordano: l’approvazione del “Work programme on Loss and Damage”, un programma di lavoro sulle perdite e i danni ambientali attribuibili ai cambiamenti climatici nei paesi più vulnerabili; l’adozione di procedure per i progetti di cattura e stoccaggio di carbonio (Carbon-Capture and Storage – CCS) nell’ambito del Meccanismo di Sviluppo Pulito (Clean Development mechanism – CDM) del Protocollo di Kyoto; l‘aggiunta del trifluoruro di azoto (NF3) nella lista di gas-serra oggetto del Protocollo di Kyoto.

Alla COP 17 di Durban ancora una volta l’UNFCCC ha riconosciuto l’importante ruolo dell’IPCC nel fornire aggiornamenti tecnico-scientifici sulle conoscenze nell’ambito della scienza del clima, che trovano consenso unanime in tutti i Paesi (nonostante i tentativi di denigrazione da parte dei negazionisti climatici, operati con il primo finto Climagate in occasione della Conferenza COP 15 di Copenhagen ed ancora oggi con questo nuovo secondo Climategate in occasione della COP 17 di Durban).

Concludiamo con il Comunicato stampa del WWF e con le parole di Maria Grazia Midulla (WWF Italia).

Dal comunicato del WWF:  “I governi hanno raggiunto un accordo debole, che istituisce un Fondo Verde per il Clima con pochi soldi, hanno rimandato le decisioni più importanti sui contenuti del Protocollo di Kyoto e hanno preso un impegno poco chiaro per raggiungere nel 2020 un accordo globale che potrebbe lasciarci legalmente vincolati a un aumento della temperatura globale di 4° C, ben oltre i 2° C raccomandati dalla scienza per evitare un cambiamento climatico catastrofico”.

Maria Grazia Midulla (WWF Italia): “I Governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati, ma il loro compito è proteggere la loro gente. E in questo, qui a Durban, hanno fallito. La scienza ci dice che dobbiamo agire subito, perché gli eventi meteorologici estremi, la siccità e le ondate di caldo causate dal cambiamento climatico peggioreranno. Ma oggi è chiaro che i mandati di pochi leader politici hanno avuto un peso maggiore delle preoccupazioni di milioni di persone, mettendo a rischio le persone e il mondo naturale da cui le nostre vite dipendono. ‘Catastrofe’ è una parola dura, ma non è abbastanza dura per descrivere un futuro con 4 gradi di aumento della temperatura globale".

 

Lo Staff di Rete Clima