Cina in testa alla transizione energetica: perché il Big Beautiful Bill frena gli Stati Uniti

Nel 2024 la Cina ha compiuto un salto senza precedenti nella corsa globale alla transizione energetica, installando 277 GW di fotovoltaico, 79 GW di eolico e 42 GW di sistemi di accumulo a batteria, per un totale di 398 GW di nuova capacità elettrica pulita.
Gli Stati Uniti, nello stesso periodo, hanno realizzato appena 49 GW, ossia otto volte in meno.
Questo divario enorme non è frutto del caso, ma il risultato di una strategia cinese basata su tre pilastri: abbondanza di elettricità a basso costo, capacità industriale scalabile e pianificazione coordinata tra governo, settore finanziario e industria manifatturiera.

La conseguenza è che Pechino sta guadagnando un vantaggio sistemico, non solo nella produzione ma anche nell’export di tecnologie verdi: moduli fotovoltaici, turbine eoliche, batterie e veicoli elettrici vengono oggi esportati in decine di Paesi insieme a pacchetti finanziari e accordi strategici.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, il “Big Beautiful Bill” promosso da Donald Trump ha cancellato o ridotto drasticamente gli incentivi fiscali che avevano rilanciato le rinnovabili durante l’amministrazione Biden.
Secondo il New York Times e il Washington Post, la legge sta compromettendo la leadership industriale e tecnologica americana, proprio nel momento in cui l’economia globale sta entrando in una fase di forte elettrificazione guidata da intelligenza artificiale, robotica e digitalizzazione.

Il tema dell’AI è centrale. I grandi data center che alimentano i modelli di intelligenza artificiale richiedono enormi quantità di elettricità: secondo le principali aziende tecnologiche americane, senza un’espansione massiccia della capacità rinnovabile «non potremo far crescere l’intelligenza artificiale».
La Cina lo ha compreso perfettamente e sta collegando l’espansione delle rinnovabili alla creazione di distretti tecnologici alimentati interamente da energia pulita.

Energy Innovation stima che il taglio degli incentivi negli USA potrebbe causare una perdita di 344 GW di nuova capacità entro il 2035, mentre la Clean Energy Buyers Association avverte che migliaia di progetti rischiano di non partire, con conseguenze dirette su occupazione, bollette e catene del valore industriale.
Come se non bastasse, nel primo semestre del 2025, il costo livellato della produzione solare utility-scale è aumentato del 14% a causa dell’instabilità normativa e delle nuove tariffe su acciaio e alluminio importati.
Di fronte a questo quadro, la Cina appare sempre più come il primo “elettrostato” al mondo, come ha scritto il Financial Times, cioè una nazione in cui molta parte dell’energia è prodotta da elettricità e le tecnologie pulite diventano il vero motore dell’economia.
Con oltre 700mila brevetti verdi registrati e il controllo del 90% della produzione mondiale di polisilicio, Pechino ha già trasformato la transizione energetica in una leva geopolitica globale.

Gli Stati Uniti, al contrario, rischiano di diventare un “gigante fossile in un mondo elettrico”, affidandosi ancora a petrolio e gas mentre le aziende high-tech cercano energia rinnovabile altrove (Arabia Saudita, Qatar, Cina).
Secondo Jason Bordoff della Columbia University entro il 2035 negli USA servirà: “una quantità di elettricità pari all’intera domanda attuale di California, Texas e New York messe insieme”.
A meno di una inversione di rotta e del ripristino di politiche industriali stabili e orientate all’innovazione, la partita sulla leadership energetica e sull’AI potrebbe chiudersi già nel prossimo decennio, con un vincitore chiaro: la Cina.