Agricoltura rigenerativa: come ridare vita ai suoli

<strong>Agricoltura rigenerativa: come ridare vita ai suoli</strong>

Le pratiche agricole intensive hanno provocato gravi danni agli ecosistemi, favorendo la perdita di biodiversità; esse sono inoltre responsabili di circa un terzo delle emissioni di climalteranti di origine antropica.

L’agricoltura rigenerativa nasce per recuperare e rivitalizzare i terreni degradati, contribuendo al contempo alla lotta al riscaldamento globale.  

L’allarme dell’UNCCD (UN Convention to Combat Desertification)

L'agricoltura moderna ha alterato il volto del pianeta più di qualsiasi altra attività umana.

A livello globale, i sistemi alimentari sono responsabili dell'80% della deforestazione, del 70% dell'utilizzo di acqua dolce e sono la causa principale della perdita di biodiversità. Se sommiamo le emissioni di CO2 associate al cambiamento di uso del suolo per la produzione di cibo e materie prime, a quelle di metano (CH4), generato dai ruminanti, e di protossido di azoto (N2O), derivante dall’uso dei fertilizzanti chimici, raggiungiamo il 29% delle emissioni climalteranti mondiali.

Crediti: GLO2 Global Land Outlook 2 edition

Perdipiù, sempre secondo l’UNCCD, il 52% di tutti i suoli dedicati alla produzione agricola è degradato, cioè reso poco fertile, se non del tutto infertile, dall’impiego massiccio di pesticidi e fertilizzanti chimici. La degradazione è tale che, anche seguendo una dieta corretta, la frutta e gli ortaggi che mangiamo oggi sono molto meno ricchi di sostanze nutritive di quanto non fossero cinquant’anni fa: se il suolo è carente di minerali necessari per la nostra vita, anche i suoi prodotti non possono contenerli.

Come fare ad invertire la rotta? Da alcuni anni molti agricoltori e aziende virtuose si stanno impegnando nel recupero dei terreni depauperati e devastati da queste pratiche agricole; tra di essi ci sono anche quelli che si rifanno alla cosiddetta “agricoltura rigenerativa”. Vediamo di cosa si tratta.

Crediti: Rodale Institute

Nascita e diffusione dell’agricoltura rigenerativa

Il termine “agricoltura rigenerativa” è stato usato per la prima volta all'inizio degli anni '80 dal Rodale Institute, gruppo per decenni all'avanguardia nel movimento dell'agricoltura biologica, per definire un “approccio olistico” e controcorrente alla monocoltura. Dopo questa prima ondata di interesse, l'agricoltura rigenerativa è uscita di scena per quasi vent’anni, fino a riprendere slancio dopo il 2015, quando è stata adottata da uno svariato numero di ONG (The Nature Conservancy, WWF, GreenPeace), aziende multinazionali (Danone, General Mills, Kellogg's, Patagonia) e fondazioni (IKEA Foundation).  

In quasi tutti i casi, essa viene proposta come un’alternativa alla produzione alimentare intensiva in grado non solo di avere un impatto ambientale e/o sociale ridotto, ma addirittura positivo (leggi anche Nature positive).

L'organizzazione Regeneration International, che da anni promuove tale pratica agricola, propone questa definizione:  

“L'agricoltura rigenerativa è una pratica olistica di gestione del territorio che sfrutta il potere della fotosintesi nelle piante per chiudere il ciclo del carbonio e costruire la salute del suolo, la resilienza delle colture e la densità dei nutrienti”.

Crediti: Regeneration International

Si tratta, in sostanza, di ripristinare le pratiche agricole tradizionali usate per millenni dalle culture indigene di tutto il mondo, combinandole però con le tecniche moderne, con l’obiettivo di proteggere e arricchire, anziché depauperare, le risorse naturali, e di ottenere prodotti ricchi di sostanze nutrienti.

I 5 principi fondamentali dell’agricoltura rigenerativa

Proprio perché l’agricoltura rigenerativa è un insieme di svariate pratiche, da attuarsi localmente e quindi diverse a seconda dei vari territori, non esiste una definizione precisa né un regolamento che ne delinei i confini. Ciononostante è possibile affermare che essa si basi su 5 principi generali:

  • ridurre al minimo l'alterazione fisica, biologica e chimica del suolo;
  • tenere il suolo sempre coperto da vegetazione o altro materiale naturale;
  • mantenere vive le radici per tutto l’anno;
  • aumentare la biodiversità delle specie vegetali e di quelle microbiche;
  • integrare il più possibile gli animali e le piante nell'azienda agricola (agroforestry).

Crediti: USA Regenerative Alliance

Per poter prendere in rassegna le pratiche che permettono di realizzare questi principi dobbiamo però prima capire in che modo l’agricoltura intensiva danneggia il suolo.

I danni causati dall’agricoltura intensiva al suolo

Crediti: Nature Education Photo courtesy of Todd Ontl

Nella produzione industriale, l’ecosistema del suolo è continuamente disturbato da lavorazioni meccaniche - l’aratura profonda, l’erpicatura, la rullatura - che sconvolgono la sua struttura fisica, sia compattandolo eccessivamente, sia mescolando i vari strati, esponendo così la materia organica in esso contenuta all’aria.

I danni del compattamento

Il compattamento eccessivo riduce la porosità del terreno, ostruendo gli spazi dove si dovrebbe raccogliere l’acqua piovana, che così defluisce in superficie, invece di essere assorbita. Quando si verificano nubifragi il terreno, reso quasi impermeabile, non è in grado di diminuire la velocità dello scorrimento dell’acqua: è poco resiliente agli eventi estremi.

Crediti: Symbiosis

I danni del rimescolamento

Il suolo è un ecosistema ricchissimo, uno dei più complessi della Terra: un ettaro di terreno può contenere centinaia di kg di lombrichi, funghi, batteri, artropodi, alghe e anche alcuni piccoli mammiferi come le talpe: questi animali e microbi interagiscono strettamente tra loro, formando reti alimentari complesse.

In particolare, i microorganismi forniscono alle piante nutrienti indispensabili per la vita, tra cui azoto, fosforo, potassio, ferro, calcio e altri minerali; in cambio ricevono i composti organici prodotti dai vegetali tramite la fotosintesi. Alcuni di loro, gli azotobatteri sono gli unici esseri viventi in grado di fissare l’azoto gassoso dall’aria e trasformarlo in una forma che può essere utilizzata dalle piante.

Le reti alimentari nel suolo. Crediti: USDA

Oltre ai microorganismi, nei primi 30-40 cm del suolo si trova la cosiddetta “materia organica del suolo” (SOM soil organic matter), una miscela eterogenea di sostanze a diversi stadi di decomposizione: si va dai residui di organismi appena morti, vegetali e animali, al materiale altamente decomposto noto come humus.

Il rimescolamento del terreno dovuto all’aratura profonda espone la sostanza organica all’ossigeno dell’aria: così vengono favorite le reazioni di decomposizione, con diminuzione dello stoccaggio di carbonio e il rilascio di CO2 in atmosfera.

Crediti: FAO. Macronutrienti e micronutrienti presenti nel suolo

Inoltre, i micronutrienti – i minerali –, una volta portati in superficie, vengono facilmente lavati via dalla pioggia portando all’impoverimento della fertilità e al ridotto contenuto nutritivo degli alimenti prodotti.

Da ultimo, un terreno scoperto resta più esposto agli effetti di pioggia e vento, aumentando l’erosione e il rischio di dissesti idrogeologici, soprattutto se in pendenza.

I danni dei fertilizzanti

Un’altra caratteristica delle pratiche di agricoltura intensiva è l’utilizzo smodato di fertilizzanti chimici per aumentare la produttività di suoli, e di erbicidi e pesticidi per uccidere i parassiti infestanti.Purtroppo però, non essendo selettivi, questi uccidono anche gli insetti utili alla fertilità del suolo, oltre a quelli dannosi.

Se sparsi in grandi quantità, i composti chimici dal suolo si riversano nei sistemi idrici, dando origine a fioriture algali nocive per gli ecosistemi, a causa del loro contenuto di fosforo, e costituendo un pericolo anche per la stessa salute umana.

I fertilizzanti, composti chimici dell’azoto, sono all’origine delle emissioni di N2O, un gas climalterante 273 volte più potente della CO2.

Crediti: Pixabay. Spargimento di liquami nei campi

Le tecniche utilizzate dall’agricoltura rigenerativa

Quali sono dunque le pratiche adottate dei metodi rigenerativi per ripristinare la salute del suolo?

Lavorazione ridotta del terreno

Il primo principio applicato è quello di evitare arature troppo profonde, con passaggi continui di macchinari sui campi, e l’eccessiva estirpazione di piante a crescita spontanea. In particolare, vengono utilizzate due tecniche:

  • no tillage (nessun dissodamento): eliminazione totale di ogni lavorazione meccanica e uso di seminatrici in grado di lavorare su terreno sodo;
  • minimum tillage: preparazione del letto di semina col rimescolamento di solo 10-15 centimetri superficiali.

Le giovani piante di soia prosperano nei residui di una coltivazione di grano. Questa forma di coltivazione "no till" protegge il suolo dall'erosione e aiuta a mantenere l'umidità per la nuova coltura. Photo credit: USDA NRCS Photo Gallery (da Regeneration International)

Copertura del suolo (cover cropping)

Il secondo principio dell’agricoltura rigenerativa prevede che il terreno non rimanga mai privo di vegetali.

La copertura perenne del suolo serve a proteggerlo dall'erosione, cioè dalla perdita dello strato superiore, soprattutto in caso di piogge abbondanti e venti forti; permette inoltre di migliorare l'assorbimento idrico, ancorare più stabilmente le radici e proteggere le comunità microbiche. Durante i mesi invernali, quando normalmente rimarrebbero spogli, i terreni vengono coperti con colture non destinate alla raccolta, ma che hanno appunto lo scopo di proteggere il suolo dall’erosione: si utilizzano soprattutto leguminose, come trifoglio, veccia, ma anche fogliame e cartone.

Una pratica particolarmente consigliata è il sovescio, ovvero l’interramento di alcune colture tramite aratura o vangatura superficiale. Se praticata con le leguminose, questa tecnica permette di aumentare il contenuto di azoto del terreno, grazie ai batteri fissatori dell’azoto che vivono nei loro noduli radicali; in questo modo viene effettuata anche la concimazione.

Crediti: Università Milano, Regione Lombardia, Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale: l’Europa investe nelle zone rurali. Cover crop di trifoglio (a sinistra) e veccia (a destra)

 

Ridotto uso di fertilizzanti

Per risanare il suolo, è molto importante ridurre l'uso di fertilizzanti e pesticidi chimici. In loro alternativa, l’approccio rigenerativo propone l’utilizzo di compost, ancor meglio se autoprodotto con i residui delle varie attività (ramaglie, paglia e potature mescolati agli scarti dei raccolti, al letame), in un’ottica di economia circolare.

Aumentare la diversità delle specie vegetali e di quelle microbiche del suolo: la rotazione delle colture

Per mantenere una biodiversità microbica ricca e varia, è necessario coltivare diverse specie vegetali. Solo così si può creare un sistema alimentare resiliente, con piante meno vulnerabili a parassiti/malattie e più resistenti agli eventi meteorologici estremi: una ricca e variegata biodiversità permette di ottenere cibo sano e ricco di nutrienti.

Come fare? A questo scopo, al contrario della monocoltura industriale, l'agricoltura rigenerativa utilizza tre pratiche:

  • rotazione delle colture: tecnica tradizionale che prevede la variazione della specie agraria coltivata nello stesso terreno col susseguirsi delle stagioni;
  • colture intercalari: quelle che si seminano fra le due colture principali e che occupano il suolo per un breve periodo di tempo
  • policoltura: colture diverse vengono fatte crescere in contemporanea nello stesso appezzamento.

Crediti: Patagonia Hashim Badani

Integrazione di piante ed animali nell’azienda agricola

L’agricoltura rigenerativa prevede anche l’utilizzo delle pratiche di agroforestry.  Trattasi di un approccio tradizionale al territorio, praticato soprattutto dai piccoli proprietari, in cui le piante legnose perenni (alberi, arbusti, palme, bambù, ecc.) sono volutamente gestite insieme a colture agricole annuali e/o allevamento di animali.

I vantaggi che la presenza di alberi nella fattoria comporta sono: un maggior assorbimento di carbonio, che può essere sequestrato sia nella biomassa vegetale che nel suolo circostante gli alberi; una maggiore capacità di adattamento, tramite la creazione di un microclima più fresco; da ultimo, ma non meno importante, un’accresciuta resilienza per l’agricoltore, che può beneficiare delle entrate derivanti anche dal raccolto delle piante da frutta, oltre o in alternativa a quello dei campi.

Crediti: Agroforestry Systems Published by Springer Nature. Piantumazione lineare di pioppi e querce lungo i fossi di bonifica a Masi (Padova), Italia (foto di A. Mantino, 2018)

Per quanto riguarda le pratiche sostenibili per il bestiame ricordiamo il pascolo a rotazione, in cui il bestiame viene spostato a turno in nuovi campi, e il silvopascolo, cioè il lasciar pascolare gli animali sotto gli alberi senza migrazioni. La presenza del bestiame migliora la salute del suolo e delle colture perché gli animali mangiano le colture di copertura, aiutando a controllare le erbe infestanti, e convertono la biomassa in concime, cosa che permette di fertilizzare il terreno evitando l’impiego di prodotti chimici.

Agricoltura rigenerativa: una soluzione win win

Crediti:  L. Schreefel et alt  Regenerative agriculture – the soil is the base Science Direct

Abbiamo visto come le pratiche di agricoltura rigenerativa permettano di ripristinare la fertilità dei terreni in diversi modi. Ma esistono anche altri benefici, sia ambientali che economici.

Uno dei motivi per cui queste pratiche sono ritornate di prepotenza alla ribalta è che ci permettono di utilizzare i suoli come strumenti di mitigazione dei cambiamenti climatici, ripristinando la loro naturale funzione di carbon sink.

Il suolo è il più grande bacino di stoccaggio di carbonio dopo gli oceani: esso contiene quasi l’80% di tutto il carbonio presente negli ecosistemi terrestri, il doppio della quantità presente in atmosfera. Purtroppo, le pratiche di agricoltura intensiva hanno trasformato i terreni coltivati in emettitori di gas climalteranti – non solo CO2, ma anche e soprattutto CH4 e N2O.

Crediti: GLO2 (da MEA 2005)

Il recente report sulla mitigazione dell’IPCC stima che il suolo potrebbe assicurarci un sequestro di 0,6 - 9,3 Gt di CO2 all'anno.

Implementare su larga scala i principi dell’agricoltura rigenerativa ci permetterebbe dunque di combattere la triplice sfida del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e del degrado del suolo, guadagnando inoltre in contenuto nutritivo degli alimenti.

Se consideriamo che gli operatori del settore agricolo potrebbero essere ricompensati per questa importante attività di sequestro del carbonio tramite sovvenzioni comunitarie, come lascia ad intendere la recente “Comunicazione sui Cicli Sostenibili del Carbonio” della Commissione Europea, capiamo come adottare pratiche di agricoltura rigenerativa potrebbe essere una vera soluzione win win per l’intera società.

ET e PV per Rete Clima


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