Biodiversità vs biocomplessità: due aspetti centrali per ecosistemi vitali e resilienti

Cosa si intende per "biocomplessità"?
In questi ultimi anni si sta sempre più manifestando una crescita dell'attenzione verso la biodiversità, che spesso viene anche identificata con il sinonimo di "natura".
Sempre più spesso si sente parlare di diversità biologica, di ecosistemi e di servizi ecosistemici, ma un termine non è quasi mai utilizzato: biocomplessità!
Nel contesto della conservazione ecologica, invece, il concetto di biocomplessità è molto importante: questo termine non indica semplicemente la complessità biologica in senso quantitativo, bensì il livello di interconnessione ed interazione tra gli elementi di un ecosistema a livello fisico, chimico e biologico.
Parlando di biocomplessità ci si riferisce quindi direttamente alla "funzionalità" degli ecosistemi, cioè al loro buon funzionamento.

Quando un ecosistema è biocomplesso?
Come già detto, la biocomplessità va oltre la semplice presenza e diversità di specie ma comprende i processi ecologici che regolano il funzionamento degli ecosistemi e la sua "salute", come la predazione, la competizione, la simbiosi e l’impollinazione.
L’approccio della biocomplessità si fonda dunque sul riconoscimento che gli ecosistemi non possano essere né compresi né gestiti come semplici sommatorie di componenti, ma piuttosto come sistemi complessi caratterizzati da interazioni non lineari, gerarchie multiple e meccanismi di autoregolazione.
Un ecosistema viene considerato “biocomplesso” quando è costituito da numerosi elementi (organismi, popolazioni, comunità, ma anche elementi non biologici come il suolo o il clima) che interagiscono efficacemente tra loro a scale spaziali e temporali differenti.

All’interno di questi sistemi l’eterogeneità (biodiversità) è una necessità. Le dinamiche evolutive delle comunità vegetali o non, i cicli di nutrienti e le variazioni climatiche a scala locale interagiscono generando risposte che possono essere stabilizzanti o, al contrario, destabilizzanti.
Ecco dunque che il concetto più spesso discusso di biodiversità si può analizzare come una delle molteplici variabili che determinano la biocomplessità (i.e. funzionalità) degli ecosistemi.
La perdita di biodiversità come impatta sulla biocomplessità?
Quando diminuisce la biodiversità non solo si riduce il numero di specie, ma vengono ridotte o interrotte anche le relazioni ecologiche fondamentali ad esso interconnesse.
Questo provoca una semplificazione ecologica da cui diminuisce la capacità dell’ecosistema di adattarsi agli stress ambientali (anche di natura antropica), riducendo la sua resilienza e indebolendo la sua capacità di autoregolazione, in definitiva la sua vitalità.

La perdita di biocomplessità riduce la funzionalità degli ecosistemi e vi porta vulnerabilità ed instabilità, riducendo la loro capacità di rispondere ai cambiamenti climatici e alle pressioni antropiche, come l’inquinamento e la deforestazione.
Un ecosistema povero di biodiversità è quindi anche un ecosistema povero dal punto di vista funzionale, che quindi "funziona male" ed è più vulnerabile agli stress a cui è esposto.
Strategie di conservazione devono quindi certamente comprendere la protezione della biodiversità ma anche il mantenimento delle interazioni ecologiche che supportano la resilienza degli ecosistemi stessi.
Le politiche di conservazione devono quindi essere orientate verso la preservazione di habitat complessi e interconnessi, che favoriscano l’equilibrio ecologico e la stabilità evolutiva degli ecosistemi.

I sistemi socio-ecologici
Ne sono un esempio i cosiddetti sistemi “socio-ecologici”, dove l’attività umana è parte integrante delle dinamiche ecologica, ed è dunque fondamentale prendere in considerazione non solo le interazioni biologiche ma anche quelle economiche, culturali e istituzionali.
La biocomplessità diventa così uno strumento per affrontare sfide come la sicurezza alimentare, la salute e il riscaldamento climatico.
La valutazione della biocomplessità richiede l’adozione di specifiche metodologie e strumenti: una delle tecniche utilizzate è la modellizzazione spaziale tramite strumenti GIS (Geographic Information Systems), impiegata ad esempio per studiare la connettività ecologica nelle aree urbanizzate: attraverso questi modelli GIS e analisi di scenario - per esempio - è possibile valutare gli impatti dei cambiamenti nell’uso del suolo sui corridoi ecologici, con implicazioni per la conservazione delle specie chiave.

Rete Clima però lavora anche attraverso anche una serie di misure dei parametri chimici, fisici e biologici degli ecosistemi, con uso anche si specifici indici di biodiversità: lo scopo è quello di per poter evidenziare i limiti degli ecosistemi locali e le loro specifiche necessità biologiche, per poi progettare ed attuare soluzioni di miglioramento ecosistemico sia dal punto di vista costitutivo che funzionale.
L'azione di Rete Clima per la biocomplessità
Rete Clima opera da molti anni per favorire la biodiversità e la biocomplessità: con le progettualità collegate alla Campagna Foresta Italia® promuoviamo la rinaturalizzazione di aree urbane e periurbane ai fini di un loro miglioramento ecologico, oltre ad una serie di progetti per il miglioramento di numerosi ecosistemi presenti sul territorio locale in Italia.
Un esempio tra tutti sono le progettualità delle BioForest® e dei Biodiversity Lab®, che vengono creati insieme alle Aziende e con la partecipazione diretta del personale e degli stakeholder delle Aziende stesse alle attività pratiche e di realizzazione di questi progetti, tramite momenti di team building.

Il principale fine di queste progettualità è quello di introdurre complessità ecosistemica in ecosistemi "poveri" o comunque naturalmente soggetti a stress ambientali e antropici, che quindi hanno necessitò di un miglioramento della loro funzionalità ecosistemica per renderli più resistenti e resilienti rispetto ai medesimi stress.
GB, FP, DS e PV per Rete Clima