La responsabilità dei “grandi emettitori” di gas serra nella generazione delle ondate di calore

Lo scorso 10 settembre la rivista scientifica Nature ha pubblicato l’articolo “Systematic attribution of heatwaves to the emissions of carbon majors”, dando un ulteriore prova del contributo diretto delle Aziende cosiddette “carbon majors” (ovverossia i grandi emettitori di gas serra) al riscaldamento climatico in atto.
L’articolo è passato praticamente sotto silenzio sui media italiani, ma riveste in realtà un’importanza fondamentale nel poter attribuire - in termini di causa-effetto - la responsabilità specifica verso le ondate di calore che si presentano con frequenza sempre maggiore.
Lo studio, coordinato dall’Institute for Atmospheric and Climate Science dell’ETH di Zurigo, ha analizzato 213 ondate di calore verificatesi nel periodo tra il 2000 e il 2023 e riportate nel database internazionale EM-DAT.
Si tratta di eventi che hanno causato vittime e impatti economici significativi, arrivando a dimostrare che con l'aumento del riscaldamento climatico, le ondate di calore siano diventate più probabili e più intense.
Rispetto al periodo di riferimento 1850-1900, infatti, tra il 2000 e il 2009 la mediana delle ondate di calore è diventata 20 volte più probabile crescendo nel periodo 2010-2019 fino ad una probabilità 200 volte maggiore.
Sui 213 eventi studiati, è stato stimato che circa un quarto di essi (55 su 213, ovvero il 26%) sarebbero stati virtualmente impossibili senza il cambiamento climatico.
Anche l’intensità delle ondate di calore è aumentata: sempre sulla base del periodo di riferimento 1850-1900, la mediana dell’aumento di calore è cresciuta dal +1,4°C del periodo 2000-2009 fino al +2,2°C del periodo 2020-2023.
Ma è andando a monte degli eventi stessi effettuando un’analisi di attribuzione che si possono correlare in maniera diretta con i responsabili.
Infatti, quantificando il contributo delle emissioni di gas serra di 180 cosiddetti “carbon majors” (vale a dire grandi inquinatori produttori di combustibili fossili e di cemento), che rappresentano il 57% delle emissioni cumulative totali di CO2 antropogenica nel periodo 1850-2023, si riescono a correlare direttamente ad essi tra le 16 e le 53 ondate di calore che sarebbero state altrimenti virtualmente impossibili nel periodo preindustriale.

La metodologia utilizzata si basa su un quadro consolidato di attribuzione degli eventi meteorologici estremi, che utilizza modelli statistici e di sistema terrestre a complessità ridotta per calcolare i contributi al riscaldamento globale e agli eventi estremi. Per ogni evento, viene valutato il "goodness of fit" del modello e la causalità attraverso l'inferenza causale di Granger.
Le ondate di calore analizzate hanno avuto luogo in 63 paesi tra il 2000 e il 2023: nello studio non è riportato un focus specifico sull’Italia, ma è interessante riportare quanto scritto in un documento accessorio allo studio, reperibile a questo link: https://docs.google.com/document/d/1gr78HIEfSet3IYI0crGJbzrPHwreU6L_/edit?tab=t.0#heading=h.n1h4uxe85smm
Nel documento si precisa che, in riferimento al “nostro” principale carbon major nazionali, che è ENI: "Le emissioni della sola ENI sono state sufficienti a rendere possibili 50 delle 213 ondate di calore analizzate tra il 2000 e il 2023. In altre parole, in un mondo ipotetico in cui esistessero solo le emissioni di ENI, si sarebbero comunque verificati 50 eventi di calore, evidenziando il ruolo significativo del loro contributo individuale al cambiamento climatico. Comprese le ondate di calore del luglio-agosto 2003, agosto 2011, agosto 2018 e giugno 2019 in Italia".
Non è solo una questione di probabilità che si verifichino eventi estremi o di attribuirne le cause, sono le conseguenze che esse hanno sulle persone.
La World Health Organization sottolinea infatti come il numero di persone esposte a ondate di calore estreme stia crescendo esponenzialmente in tutto il mondo a causa dei cambiamenti climatici, e che la mortalità correlata al caldo è cresciuta per gli over 65 dell’85% negli ultimi 20 anni portando al decesso di circa 489 mila persone all’anno (circa 60 mila solo in Europa) molti attribuibili direttamente al cambiamento climatico a causa, per l’appunto, dell’aumentata probabilità di ondate di calore estreme.
È questo quindi che rende l’attribuzione della responsabilità degli eventi ambientali un passo importante anche in una logica di mitigazione climatica: se resta infatti sempre valida l’importanza dell’impegno collettivo dei singoli, non è più credibile continuare ad ignorare le singole importanti responsabilità dei grandi inquinatori, a cui oggi la scienza riesce a dare un preciso ruolo.
Secondo il Carbon Major Report, gran parte delle emissioni globali può essere attribuita ad un numero ristretto di aziende: sono solo 100 ad essere responsabili di più del 70% delle emissioni globali generate dal 1988 ad oggi.

Fra il 2016 e il 2022 l’80% delle emissioni da combustibili fossili e cemento è stato prodotto da soli 57 tra Aziende e Stati.
Ora che la scienza è in grado di attribuire in modo specifico gli eventi meteorologici estremi (come le ondate di calore) evidenziando le responsabilità di singoli attori, diventa ancor più necessario internalizzare i costi ambientali e chiedere il pagamento a chi sta facendo profitto a danno della collettività.
Come ci ricorda la testata “A Fuoco” è oggi necessario parlare di una sorta di patrimoniale climatica, soprattutto a carico di quelle imprese energetiche e fossili che continuano a ottenere extra profitti enormi: tra il 2021 e il 2023, solo 36 di queste aziende hanno generato utili straordinari per 424 miliardi di dollari, generando però esternalità ambientali e sociali di valore immenso.
Che oggi sappiamo appunto a chi attribuire.