Cloud Computing “poco rinnovabile” e poco pulito

Cloud Computing “poco rinnovabile” e poco pulito

Secondo il report di Greenpeace "How Clean is Your Cloud?", lo sviluppo del cluod computing (cioè la gestione dei dati tramite server remoti “collettivi”) fa crescere la domanda di elettricitá “sporca”, generata da carbone e da nucleare.

Il report ha infatti analizzato le scelte energetiche collegate alla gestione degli 80 data center globali delle 14 compagnie Information technology che oggi sono impegnate nel cloud computing, una logica di gestione dati che sta fortemente prendendo piede in questi ultimi periodi per la sua utilitò economica e che –in teoria- dovrebbe portare a migliori performace ambientali rispetto alla gestione “tradizionale” dei server.

Secondo Salvatore Barbera, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace: "Se la nuvola fosse uno Stato, la sua domanda di energia elettrica sarebbe la quinta al mondo: nel 2020 sará il triplo".

E poi: "Mentre Google, Yahoo! e Facebook fanno passi avanti verso una rivoluzione informatica che punta sulle energie pulite, Apple, Amazon e Microsoft scelgono di alimentare i loro data center con carbone ed energia nucleare".

Infine: "Quando condividiamo musica o foto usando il cloud computing vogliamo essere certi che la nuvola digitale sia alimentata con energia pulita e sicura. Eppure, compagnie It innovative come Apple, Amazon e Microsoft stanno costruendo data center che utilizzano il carbone e il nucleare e si comportano come se tutto ciò non interessasse ai loro clienti. Ma si sbagliano".

La logica è evidentemente sempre quella: anche qualora si individuino soluzioni che permettono una più efficiente gestione dei processi, ci si deve sempre chiedere qual è la fonte dell’energia che le alimenta.

Vale per la mobilità elettrica, così come vale per la gestione remota dei dati tramite cloud computing.

Lo Staff di Rete Clima®