Bp e incidente nel Golfo del Messico: “punizione” dalla politica o dal mercato?

 
Il valore della Bp in borsa è crollato di 34 miliardi di euro dopo l'esplosione della piattaforma offshore Deepwater Horizon nel Golfo del Messico: quel che ora è certo è che la Bp ha nascosto dossier preoccupanti sulla scarsa sicurezza della piattaforma, avventurandosi nella estrazione offshore a cuor leggero.

Il giornale finanziario francese "Les Echos" scrive: “L'ipotesi di un'Opa su questo gruppo indebolito non è più del tutto inverosimile”.

Il naufragio della Exxon Valdez (della Exxon-Mobil) o per quello della Erika (della Total) insegnano che le compagnie petrolifere sono intoccabili, anche quando generano danni di elevata portata: queste compagnie –infatti- sono uscite economicamente indenni da questi disastri, riuscendo a erogare risarcimenti contenuti.

Il disastro della Deepwater Horizon sarà fatale per la Bp o si ripeterà quanto già successo con le compagnie omologhe? La Bp ora è oggettivamente sotto attacco, ma i media sostengono che suoi dirigenti britannici ritengono di poter assorbire il colpo nonostante la loro evidente incapacità ed imperizia che sta pesantemente sporcando l’immagine aziendale nel mondo.  

E’ anche vero che la Bp sta operando un forte greenwashing, sia a livello stampa che a livello fisico (usando lo sporco detergente di cui abbiamo parlato qui e qui).

I costi dei risarcimenti danni già previsti (930 milioni di dollari già stanziati per gli Stati Usa colpiti e per i pescatori) saranno solo una piccola quota del totale o saranno invece il grosso dei risarcimenti totali?  Anche perché il rilascio nel Golfo del Messico non può essere considerato come un “problema” che l’estrazione di petrolio inevitabilmente determina. Sia data l’entità del rilascio, sia dato il luogo dove il disastro è avvenuto.

Questa volta –infatti- la perdita di petrolio ed i conseguenti costi spesso esternalizzati (cioè mai pagati) da parte dell'industria petrolifera non si è verificata in qualche sperduto Paese in via di sviluppo: il disastro è avvenuto sulle coste del Paese più ricco e potente del mondo  e i risarcimenti rischiano di essere enormi.

Secondo Credit Suisse alla Bp l'incidente potrebbe costare  18 miliardi di dollari: tra i 4 e i 9,8 miliardi per ripulire le zone invase  dal greggio ed 8,6 miliardi per difendersi nei tribunali (poi ci sono i danni all'immagine della BP, che sono incalcolabili: negli Usa è già cominciato un boicottaggio spontaneo della Bp e sono anche da considerare le pessime relazione che si sono instaurate con l'amministrazione Obama).

Les Echos: “Gli investitori lo hanno capito bene: in Borsa il valore della Bp è precipitato del 25 %, cioè 34 miliardi di euro, dopo l'incidente. Rischia di calare ancora questa settimana, dopo il fallimento della colmata. Questo indebolimento potrebbe incitare un concorrente a lanciare una Opa sul gruppo, nel quale le altre attività restano molto sane”.

Tra le Big Oil la Chevron ormai vale più della Bp, mentre il crollo successivo alla marea nera ha ridotto lo scarto tra Bp e Total dal 40 al 22%: ma secondo gli analisti della Ing la Bp è ancora abbastanza forte per potersi difendere.

Qualche problema in più potrebbero averlo la Transocean (la società svizzero-statunitense proprietaria della distrutta piattaforma Deepwater Horizon, la quale sta già cercando di mettere avanti le mani avanti dicendo che arriverà al massimo fino a 27 milioni di dollari di risarcimento dei danni) ed anche la notissima Halliburton (società Usa che metteva le tubature per la trivellazione per conto della Bp).

La Bp rischia –quindi- davvero di pagare per tutti.

Nei giorni scorsi il Wall Street Journal ha pubblicato una esauriente inchiesta che accolla alla multinazionale britannica gran parte delle colpe del disastro.

La BP sapeva che le modalità di realizzazione del pozzo lo avrebbero reso più vulnerabile alle conseguenze dell'esplosione della piattaforma: “In ritardo sul suo piano di marcia, avrebbe in particolare abbreviato una procedura per  captare e rimuovere il gas dal pozzo, omettendo di testare il cemento intorno al foro di trivellazione ed utilizzando meno strumentazione di quella che era stata raccomandata per centrare la tubazione flessibile”.

Il disastro della Bp potrebbe portare alla fine delle trivellazioni offshore in acque profonde negli Usa, costringendo il Presidente Obama a tornare indietro rispetto alle generose aperture fatte prima del disastro: si conti anche che il Golfo del Messico fornisce da solo il 29% della produzione degli Usa, il più grande consumatore di petrolio del pianeta, ed ormai le trivellazioni avvengono soprattutto in acque profonde.

Il disastro della Deepwater Horizon ha anche rivelato quanto fosse infondata la garanzia della massima sicurezza delle piattaforme offshore e questo proprio mentre le trivellazioni stavano per espandersi in tutto il mondo (anche nelle acque più pericolose e tempestose come quelle dell'Artico): l'esplosione della piattaforma della BP e la marea nera inarrestabile hanno messo davanti agli occhi dell'opinione pubblica occidentale tutti i limiti di tecnologie che venivano spacciate come sicurissime.

Secondo la Wood Mackenzie, la moratoria di 6 mesi annunciata da Obama ha prodotto il blocco immediato di investimenti per circa 1,6 miliardi per le ricerche offshore e la Shell ha dovuto richiamare indietro la sua flotta già partita per i mari dell'Alaska e fatto saltare un altro progetto in Virginia.

Ma la cosa che preoccupa di più le Compagnie petrolifere é la sospensione di 33 trivellazioni già in corso nel Golfo del Messico, decisione che colpisce una quindicina di compagnie in particolare la Shell (5 pozzi) ma ad Eni, Marathon e  Anadarko.

Il risultato è stato che a Wall Street sono precipitate anche le azioni delle imprese specializzate in prospezioni petrolifere: la Transocean dopo l'esplosione della sua piattaforma ha perso il 38%, la Diamond Offshore e la Noblesono il 31%, Pride International il 25%, Baker Hughes il 24%.

Quanto peserà tutto questo? Secondo Deutsche Bank: “A breve termine, la produzione del golfo del Messico rischia di essere un po' meno importante del previsto. Circa 160.000 barili al giorno, cioè il 10% dei volumi attesi in quest'area, potrebbero mancare all'appello nel 2011”.

Per gli analisti della Underlich Securities: “Per forare nella regione, ci vorranno senza dubbio assicurazioni, personale ed attrezzature supplementari. Il Golfo del Messico dovrebbe mantenere il suo ruolo centrale, ma con dei costi più pesanti”.

Speriamo che questa sia l’occasione per cambiare strada, e scegliere strategie di approvvigionamento energetico più sicure (e rinnovabili).


Lo Staff di Rete Clima®