Golfo del Messico: la marea nera non è finita (il petrolio esce ancora dal fondale?)

Un articolo recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science (successivamente commentato sulla rivista Scientific American) sostiene che il rilascio di petrolio dal fondo del Golfo del Messico non è ancora terminato: l’enorme rilascio (pari a circa 5 milioni di barili di petrolio rilasciate in ambiente) originatosi dal pozzo Macondo a seguito dell’esplosione ed affondamento della piattaforma petrolifere della Bp Deepwater Horizon, non sarebbe quindi ancora terminato.


In verità si supponeva fin dall’anno scorso che ci fossero ancora rilasci in corso, anche in relazione alla presenza di crepe sul fondale (posizionato a – 1.500 mt s.l.m.) da cui fuoriusciva petrolio.

Ritornando all’articolo pubblicato su Science on line, i ricercatori della Whoi (Woods Hole Oceanographic Institution) hanno analizzato le acque profonde del Golfo del Messico trovando a 1300 metri di profondità un pennacchio di idrocarburi monoaromatici (l’oggetto specifico del loro campionamneto) diluiti lungo almeno 35 chilometri che fluisce verso Sud Ovest alla velocità di 6,5 chilometri al giorno: secondo i conti egli scienziati è verosimile che quotidianamente entrino nel “pennacchio” almeno 5.500 chili di idrocarburi monoaromatici del petrolio, i quali –però- normalmente costituiscono solo l’1% del petrolio della Louisiana!!

Gli scienziati dicono chiaro che non si sa se, quali, quante altre sostanze siano contenute nel pennacchio, che rappresenta la modalità di dispersione di petrolio tipica di questo rilascio.

E in superficie? In quali condizioni versa il mare nel Golfo del Messico?

La risposta proviene dall'articolo di un gruppo di giornalisti dell’Alabama Press-Register, saliti in barca e diretti alla verticale del pozzo Macondo, con il ritrovamento di macchie oleose di oltre un mt di diametro: prelevati dei campioni e fatti analizzare all’Università della Louisiana, il petrolio prelevato ha caratteristiche coerenti con il petrolio del giacimento in cui pesca il pozzo Macondo.

Inutile dire che sia la Bp che la guardia costiera smentiscono rispettivamente il fatto che il petrolio non esce dal pozzo Macondo e che la bocca del pozzo Macondo non perde petrolio.

Resta il problema degli idrati di metano, che esce dal pozzo insieme al petrolio (e che può essere stata la causa dell’esplosione della piattaforma Deepwater Orizon) e che si disperde in mare senza che sia poi rintracciabile.

Bene, al di là del fatto che il metano è un gas serra (con una “capacità serra” –Global Warming Potential” 21 volte superiore a quella della CO2, tanto che gli idrati di metano sono giustamente temuti da chi si occupa di cambiamento climatico), uno scioglimento rilevante degli idrati presenti nei fondali potrebbe innescare frane sottomarine e tsunami.

Ma di tutto questo pare che importi a pochi.

 

Lo Staff di Rete Clima®