I risarcimenti della Bp: alcune attività economiche sono realizzabili solo se i loro costi vengono pagati dalla collettività

Quali sono le similitudini tra industria nucleare ed industria estrattiva (specie se si tratta di estrazione petrolifera offshore)?

Che per entrambe i rischi sono così alti che le aziende stesse non potrebbero sostenerli, dato che possono essere anche superiori al valore economico della medesima multinazionale che li ha originati: 

quindi, in accordo esplicito o implicito con i vari Stati nazionali, gli eventuali costi (enormi) legati al verificarsi di eventi incidentali sono scaricati sulla collettività.

E allora questi costi sono coperti dal Sig. Rossi e dal Sig. Bianchi, attraverso lo Stato che li rappresenta e che si fa carico degli oneri economici di disinquinamento/riparazione/indennizzo.

Venendo al caso recente dell'incidente petrolifero nel Golfo del Messico, la BP ha annunciato che istituirà un fondo da 20 miliardi di dollari per risarcire i danni del più grande disastro petrolifero della storia americana, quale  la fuga di petrolio dalla piattaforma off-shore Deepwater Horizon.

Questa notizia è interessante per una serie di motivi diversi.

Il primo motivo è perché, secondo un articolo del Wall Street Journal, l’accordo con il Governo USA pare prevedere che la Bp garantisca il pagamento dei danni prodotti dalla marea nera proprio attraverso l’estrazione di petrolio nel Golfo del Messico.

Ragion per cui il Governo USA ha tutto l’interesse a fare sì che la situazione nel Golfo si risolva il prima possibile……anche a costo di accettare le pseudo-analisi della Bp secondo cui il petrolio nel Golfo si è per la massima parte “volatilizzato” (salvo poi sprofondare nell’imbarazzo quando analisi indipendenti segnalano il contrario, come è capitato con l’analisi della Georgia University segnalata qui).

Il secondo motivo è per la logica che sta dietro all’istituzione del fondo medesimo: si tratta solo di una misura eccezionale, e che niente cambia a livello sistemico nella logica della “terzializzazione economica” dei rischi aziendali verso la collettività.

Riporta infatti la Reuter che la compagnia, per creare il fondo da 20 miliardi, dovrà ricorrere a prestiti, vendite di asset e rinunciare a redistribuire dividendi.

Ma il fondo rischia di essere solo una toppa, probabilmente neanche sufficiente a pagare i danni: occorre rivedere il sistema con cui le compagnie si fanno carico dei rischi e, in generale, ripensare il sistema energetico disincentivando quelle fonti che pongono i pericoli più grandi.

È quanto viene fatto notare da diversi commentatori americani in relazione alla vicenda, tra i quali sei economisti ambientali (Robert Costanza, David Batker, John Day, Rusty A. Feagin, M. Luisa Martinez, Joe Roman) che firmano questo intervento sul blog Solutions.

Nel post si cerca innanzitutto di dare una stima a grandi linee del danno provocato nel Golfo del Messico: non solo le perdite arrecate ad almeno 20 tipi di attività economiche, più facilmente quantificabili, ma anche quelle dovute ai danni all’ecosistema.

Parlando dell’ecosistema del delta del Mississippi, secondo un recente studio di economia ambientale (citato nel post) che “monetizza” i suoi benefici resi all’uomo (ad esempio la protezione dagli uragani ed il sequestro della CO2) questo  vale da 330 a 1.300 miliardi di dollari: è molto più del valore di mercato della BP stessa (pari a circa 189 mld $).

La stima del danno causato dalla perdita della Deepwater Horizon al solo ecosistema costiero, secondo gli autori dell'articolo, andrebbe così da 34 a 670 miliardi di dollari

Quindi il fondo da 20 miliardi – per quanto questo sia un risultato importante – rischia di ripagare solo una piccola parte del danno. Ma –cosa più importante - è solo una eccezione, dato che il risarcimento massimo dovuto dalle compagnie petrolifere in casi simili resta fissato a quota 75 milioni di dollari (si tratta del tetto massimo di risarcimento fissato dal Oil Pollution Act del 1990): il rischio dell’industria petrolifera continua a essere sistematicamente scaricato sulla collettività.

Dall’intervento dei sei economisti: “L’incidente della Deepwater Horizon, come la crisi del sistema bancario è il risultato di una mancanza di attenzione dei rischi a carico del pubblico. Le precauzioni da adottare si conoscevano, ma non sono state prese. Gli investimenti in sicurezza non sono stati fatti (…).
Il problema fondamentale è che quando le compagnie causano danni alla collettività sono tenute a risarcirli solo in parte e dopo tempi lunghi. Questo dà ai privati un forte incentivo ad assumersi grandi rischi a spese del pubblico”. 

Scrivono gli economisti che dal disastro del Golfo dovrebbe venire lo stimolo per trovare un modo per cui le industrie pericolose internalizzino finalmente i rischi che creano.

La proposta è quella di un’assicurazione obbligatoria che copra i danni di potenziali incidenti legati ad ogni impianto, calcolati con i metodi della contabilità economica ambientale: i petrolieri insomma andrebbero fatti pagare prima che succedano gli eventuali incidenti e non a disastro avvenuto, mediante la stipula di assicurazioni ad-hoc. Dall’intervento dei sei economisti: “Se anche per chi compera una macchina è obbligatorio assicurarsi contro danni a terzi, non vediamo perché questo non debba accadere per imprese con rischi elevati come quelle in questione”.

Riteniamo che la risposta risieda proprio nel livello di rischio -potenzialmente enorme- tipico di alcune attività umane quali le trivellazioni off-shore o il nucleare: se alle aziende venisse chiesta la responsabilità del pagamento di un eventuale danno (mediante polizze assicurative), e se quindi non fosse la collettività a farsi carico di questi rischi, queste stesse attività sarebbero economicamente insostenibili.

Come fa notare Brent Blackwelder (ex presidente di Friends of the Earth e collaboratore del Center for Advancement of a Steady State Economy),  il mettere fine alla distorsione sistematica per la quale i rischi e costi ambientali restano a carico della collettività vorrebbe dire negare le stesse scelte di politica energetica fatte ultimamante dal presidente Usa: ossia il rilancio del nucleare e delle trivellazioni off-shore lungo le coste americane.

Ecco dunque il motivo per cui Barack Obama, pur avendo dato una sonora multa a BP, non ha posto le basi affinché disastri del genere non si ripetano.


Lo Staff di Rete Clima®