Disastro ecologico nel Golfo del Messico: il petrolio è il colpevole

Quello del Golfo del Messico è uno tra i più gravi disastri ambientali degli ultimi anni: la macchia oleosa apparsa in mare la settimana scorsa ora si estende per circa 75 kilometri quadrati, ed è visibile anche da satellite (della NASA, in una immagine scattata il 25 di aprile).

E’ notizia di questa mattina il fatto che i robot hanno fallito il tentativo di riparare la perdita dall’impianto di trivellazione, e che –anzi- si è scoperto un secondo punto di rilascio a fianco della prima falla ad oltre 1.500 metri sotto il livello del mare: tanto che le stime aggiornate ad oggi parlano di circa 5.000 barili di petrolio al giorno che finiscono in mare (per 162 litri cadauno).

A questi ritmi la marea nera potrebbe raggiungere le coste della Louisiana per il fine settimana, devastando gli ecosistemi locali (del delta del Mississippi) e l’economia ittica dello Stato: oltre all’inestimabile valore della biodiversità distrutta, verrebbe –infatti messa in ginocchio anche l’industria ittica con un fatturato annuo di 2,4 miliardi di dollari.

Si cercherà ora di contenere il rilascio dentro una struttura metallica, che –però- deve ancora essere costruita a piazzata in posto.

E' una catastrofe che arriva a poca distanza dalla decisione del Presidente Barak Obama di aprire a nuove trivellazioni in mare (per esplorazioni alla ricerca di gas e petrolio) circa 500mila miglia quadrate di acque costiere americane (in Alaska, costa atlantica e Golfo del Messico).

Il tutto rompendo una moratoria lunga 20 anni e in contraddizione con quanto annunciato in campagna elettorale.

Il petrolio inquina: inquina in fase di estrazione, inquina in fase di utilizzo, inquina lungo i vari disastri legati a incidenti di trasporto e captazione. Avrebbe allora senso parlare di “costi di utilizzo” della fonte petrolifera, che dovrebbero essere internalizzati nei suoi costi di produzione come unica strada per poterne esprimere un prezzo comprensivo dei suoi impatti ambientali.

 

Quando arriveremo a farne a meno (per virtù o per necessità)?


Lo Staff di Rete Clima®