Quinto Rapporto sul clima: 3° parte (Il rischio idrogeologico in crescita e le necessità di adattamento)

In questi giorni si sono succeduti frane ed alluvioni di intensità inusuale (ragionevolmente collegata al rilevante riscaldamento climatico del nostro Paese) è tornato d’attualità il documento dell’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, Irrigazioni e miglioramenti fondiari): con 4.1 miliardi di euro si potrebbe mettere in sicurezza idrogeologica l’Italia, la stessa cifra destinata al ponte sullo Stretto di Messina.

Ma, come già visto anche per il nucleare, i 4,1 miliardi necessari per risanare l’Italia dal punto di vista idrogeologico dovrebbero essere destinati ad una marea di piccole e piccolissime opere diffuse sul territorio locale: sistemare torrenti e canali, fare manutenzione degli argini.

Questi micro interventi diffusi avrebbero positivi effetti sull’ambiente e sull’occupazione, creando una infinità di cantieri e di occasioni di lavoro……ma eviterebbero i mega appalti che ultimamente piacciono tanto in Italia: le centrali nucleari, il ponte sullo Stretto, ma anche la gestione delle emergenze e della ricostruzione seguono tutte la logica del “dare grandi cose a grandi soggetti”.

Tutte queste attività, infatti, seguono la logica di favorire l’arricchimento dei grandi gruppi industriali grazie ai denari pubblici (le nostre tasse), piuttosto che creare quel lavoro diffuso sul territorio che tanto servirebbe alla nazione ed all’ambiente.

Tornando al rischio idrogeologico nostrano, secondo calcoli sono dell’Ordine nazionale dei Geologi, frane, smottamenti e catastrofi idrogeologiche costano ai contribuenti 1,2 miliardi all’anno: traducendo, rimediare ai danni dopo che si sono prodotti può essere un affare, ben più lucroso che la prevenzione.

Infatti, come già dicevamo qui, riparare i danni idrogeologici costa ben più che prevenirli!

Serve più prevenzione, e meno Protezione (Civile).

 

Lo Staff di Rete Clima®

 

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