Brucia l’Amazzonia, brucia il nostro futuro. E la causa non è (solo) Bolsonaro, siamo anche noi

Brucia l’Amazzonia, brucia il nostro futuro. E la causa non è (solo) Bolsonaro, siamo anche noi

Brucia l'Amazzonia ma brucia anche la Siberia, l'Africa, il sud-est asiatico e bruciano molte altre parti del Mondo.

Ed insieme a questi roghi brucia anche un po' del nostro futuro, dal momento che vengono distrutte aree preziose per gli equilibri climatici globali, per la tutela della biodiversità e degli habitat naturali, luoghi dove popolazioni indigene vivono e trovano il loro sostentamento.

Il prezioso portale Fire information for resource management system della NASA aiuta a fare una sintesi della situazione globale, che appare in tutta la sua drammaticità a causa di decine di migliaia di incendi in tutto il Mondo i quali sono sia causa sia conseguenza del riscaldamento climatico.

Ne sono la causa perchè la combustione del legno emette CO2 in atmosfera, ma ne sono anche conseguenza perchè è il riscaldamento climatico globale che altera le dinamiche meterologiche e climatiche modificando i cicli di precipitazioni piovose, aumentando i periodi di siccità in diverse aree del mondo (favorendo così condizioni più idonee all'insorgenza di incendi), etc.

Secondo i dati Fao, ogni anno brucia tra il 3% e il 4% della superficie terrestre, ma il fatto inedito di questi anni è il potenziale distruttivo degli incendi stessi: secondo l'Università dell'Idaho, per esempio, in assenza di riscaldamento climatico i fuochi ciclici in alcuni Stati USA avrebbero una intensità centinaia di volte minore.

Ma lasciando gli USA sono l'Amazzonia ed il Brasile al centro dell'attenzione globale di questi ultimi periodi, a causa di incendi di dimensioni mai viste, di cui la massima parte appare essere dolosa ed espressamente finalizzata ad aumentare la superficie destinabile a coltivazione agricola e ad allevamento del bestiame.

Quegli stessi cibi che poi anche noi europei importiamo dal Brasile dove, con la benedizione del recente Presidente Jair Messias Bolsonaro, si sta giocando una partita pericolosa ma a suo modo lucidissima e coerente, quale quella di promuovere l'attività economica del Brasile che trova nelle esportazioni alimentari una fonte di introiti importanti per il Paese.

Si conti che in tutto il Brasile dall’inizio del 2019 ad oggi sono stati registrati circa 42mila incendi, l’80% in più rispetto al 2018, di cui 40% circa ha interessato l’Amazzonia.

Secondo il servizio europeo di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus, i fuochi brasiliani hanno finora comportato l'emissione di 230 milioni di tonnellate di CO2: il dato (stimato) è stato ottenuto mendiante elaborazione delle immagini satellitari, attribuendo ad ogni ettaro bruciato un “fattore di emissione” funzionale a quanto carbonio è contenuto nel suolo e nella vegetazione (e a quanto di questo carbonio è stato ragionevolmente consumato dagli incendi, sulla base di una stima della loro intensità).

Ritornando a Bolsonaro ed ai suoi indirizzi, si tratta davvero di politiche folli? Paradossalmente, se si ragiona erroneamente solo in termini di mercato e senza guardare alle conseguenze locali e globali nel medio periodo, la risposta è no!

E peraltro anche l'Europa, che giustamente si è scandalizzata per l'eco-reato dei deliberati incendi delle foreste brasiliane, ha una sua importante quota di responsabilità rispetto alla causa primaria di questi stessi incendi.

In questo articolo scrivevamo infatti che l'Europa "importa deforestazione", una situazione comprovata da un rapporto della Commissione Europea secondo cui i consumi europei sono responsabili del 7-10% della deforestazione mondiale

Una dinamica che, restando in Brasile, tanto più vera in relazione ad un recente accordo di libero scambio con il Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale, di cui fa parte anche il Brasile), "grazie" a cui l'Europa ha probabilmente giocato un indiretto ma significativo "ruolo economico" anche dentro questi roghi estivi brasiliani.

A fine giugno 2019, senza particolare enfasi sui media, l’Ue ha infatti concluso un importante trattato commerciale con i paesi del Mercosur al fine di eliminare o abbassare molti dazi, favorendo l’esportazione verso l’Europa di carne bovina e soia  per l’alimentazione animale, che è proprio la causa principale della deforestazione in Brasile ed in Amazzonia.

La comunità scientifica internazionale aveva già bollato l’intesa di libero scambio Ue-Mercosur una minaccia per l’ambiente e per i diritti delle popolazioni indigene, tanto che lo scorso aprile 600 ricercatori avevano firmato un appello pubblicato sulla rivista Science per chiedere all’Unione Europea di negoziare un accordo più sostenibile.

Cosa che non è stata fatta.

Allora, ripentendo la domanda già posta prima, è una follia la politica di Bolsonaro? Ragionando in termini ambientali locali e globali sicuramente si, perchè non esiste mercato senza ambiente, non può esistere produzione senza tutela dei diritti delle popolazioni e degli ambienti naturali, non può esistere l'uomo senza la tutela degli equilibri del Pianeta.

Probabilmente senza spinte liberiste spinte all'estremo oggi non ci troveremmo in questa situazione, ma purtroppo siamo qui con la prospettiva per cui, secondo l’agenzia spaziale brasiliana, entro la fine dell’anno potremo arrivare a perdere circa diecimila chilometri quadrati di preziosa foresta.

Lo Staff di Rete Clima