Cina e land grabbing in Islanda (alla luce del cambiamento climatico, con prossima apertura del passaggio a Nord Est)

E’ indubbio che il riscaldamento climatico con il conseguente scioglimento dei ghiacci porterà all’apertura di nuove rotte commerciali nell’artico.

Alla luce di questa previsione fa riflettere una notizia recentemente pubblicata dal Financial Times secondo cui un imprenditore miliardario cinese (ex dirigente nell’apparato governativo cinese) ha quasi raggiunto un accordo per l'acquisto di 300 kmq di terreno in Islanda: si tratta di una estensione molto grande, pari allo 0,3% dell’intera isola, ufficialmente richiesta per la costruzione di un resort da 100 milioni di dollari con annesso un campo di golf.

Conoscendo le mire cinesi e la sua espansione in giro per il mondo mediante la tecnica del land grabbing, oltre che riflettendo sull’estensione del terreno in fase di acquisto (che appare essere sovradimensionata rispetto al progetto immobiliare), il FT si chiede se dietro questo acquisto non ci sia invece altro: si chiede , in sostanza, se il progetto non sia invece collegato alla posizione strategica dell’Islanda e alle mire cinesi di appropriarsi legalmente di un’area strategica nell’ambito degli equilibri geopolitici globali, anche a livello commerciale.

Da un lato, infatti, con un acquisto di questo tipo la Cina si potrebbe creare spazio in un Paese appartenente NATO, inserendosi –tanto più- in una posizione commercialmente strategica tra l'Europa e il Nord America, dove lo scioglimento dei ghiacci a causa del riscaldamento globale aprirà nuove rotte commerciali.

Si tratta quindi di un altro caso di land grabbing? Di certo si tratta di una pratica di cui la Cina è maestra, avendo giá acquistato oltre tre milioni di ettari di terreno (soprattutto in Africa ed Sud America, per una superficie pari al Lazio e all'Abruzzo insieme), per scopi agricoli e di appropriazione di risorse minerarie ed energetiche.

Si noti che il fenomeno del land grabbing è stato fortemente e ripetutamente condannato dalla Fao, perchè sottrae le risorse primarie dei paesi interessati che spesso si trovano in condizioni di difficoltá economica.

Una forma di neocolonialismo economico, senza ombra di dubbio, alla luce del cambiamento climatico che complica ulteriormente gli equilibri internazionali.

 

Lo Staff di Rete Clima®