COP 17 di Durban e la fine del Protocollo di Kyoto: e poi?

Alla COP 17 di Durban ormai pare ufficiale che il Protocollo di Kyoto sia destinato a finire con la fine del 2012: e ancora non c’è nessun accordo in vista che lo possa sostituire, anche se è di queste ore la notizia che la Cina sarebbe disposta a sottoscrivere un accordo vincolante per la tutela climatica “post-Kyoto” ancora più radicale.

La cosa stupisce dato che, se il relativamente impegnativo Protocollo di Kyoto non è stato sottoscritto da molti Stati, non si capisce come questi stessi oggi potrebbero voler sottoscrivere un accordo ancor più impegnativo (proprio in un periodo in cui la crisi economico-finanziaria globale sta distogliendo l’attenzione dalle problematiche ambientali e climatiche).

E appaiono coerenti con il periodo di stanca sulla tutela climatica le parole di Jonathan Pershing (delegato Usa alla COP 17) che ha detto: “Non accetteremo accordi legalmente vincolanti per gli Stati Uniti se non saranno altrettanto vincolanti per altri Paesi di peso equivalente”. Il riferimento è evidentemente alla ormai onnipresente Cina, la quale è oggi il maggior inquinatore climatico al mondo ma pure finora è stata protetta dagli obblighi dal suo status di paese emergente.

La cosa certa è che a Durban sta andando in scena –come previsto- lo scontro tra Paesi ricchi e Paesi poveri, che non riescono ad accordarsi per un sistema di regole condivise per poter affrontare la sempre più gravosa minaccia climatica, alla luce della necessità di mantenere entro i + 2°C il riscaldamento del clima, la soglia che secondo i climatologi dovrebbe garantire di restare dentro i limiti di sicurezza climatica.

Rajendra Pachauri (Direttore dell'Ipcc - Intergovernmental Panel on Climate Change) a Reuters: “Se vogliamo farlo seguendo una traiettoria a basso costo, allora dobbiamo essere certi che le emissioni di CO2 raggiungano il picco non più tardi che nel 2015, che è tra 4 anni appena. In altre parole, dopo il 2015, le emissioni devono iniziare a decrescere”.

Il fine è sempre quello di non superare la soglia di + 2°C di riscaldamento climatico, ragion per cui il nuovo accordo che ancora si attende dovrà necessariamente rispettare i principi di equità riconosciuti dall’UNFCCC (tenendo in considerazione le responsabilità storiche dei paesi industrializzati all’attuale situazione di caos climatico), ma ponendo obiettivi di riduzione emissiva di almeno l’80% entro il 2050.

A fianco dell’accordo dovrà essere istituito il Green Climate Fund (Fondo verde per il clima), destinato a finanziare le azioni di riduzione delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici nei paesi in via di sviluppo, insieme alle strutture di governo decise a Cancún per rendere operativi gli interventi relativi all’adattamento e al trasferimento tecnologico.

La memoria torna alle speranze messe in moto alla COP 15 di Copenhagen (2009), apertasi con aspettative altissime e con una enorme partecipazione dell’opinione pubblica mondiale salvo poi chiudersi con una cocente delusione e con un nulla di fatto. Solo che dal 2009 ad oggi c’è in mezzo un peggioramento dello stato del clima ed una crisi economica che, se da un lato ha leggermente e temporaneamente ridotto il carico emissivo umano, dall’altro ha  reso più difficile poter parlare di tutela ambientale e climatica.

Ed ecco che, puntuale come sempre, è in arrivo un nuovo climagate che rischia di mettere ulteriormente in crisi una conferenza che è partita con aspettative così basse e con risultati in forse.
Infatti, così come era accaduto prima della Cop 15 di Copenhagen, ecco un nuovo climagate che si sta ripetendo esattamente come il primo finto scandalo, allo scopo di fare disinformazione sul cambiamento climatico, purtroppo reale e concreto: un furto di email tra scienziati del clima rubato dagli hacker che insinuerebbe il dubbio che le teorie sui cambiamenti climatici sarebbero ancora incerte.

Durban registra però la partecipazione delle Ong e del mondo ambientale: in questo senso è da segnalare il rapporto della Ong Wdm (World development movement) dal titolo “COP 17, Durban - A tipping point for the international climate talks” che avanza l’ipotesi che esista già un accordo d'interesse fra le nazioni più potenti del mondo, e che il vertice di Durban sia solo un pro forma per ratificare quanto già deciso. Secondo il, in particolare i paesi sviluppati (USA e GB in primis) avrebbero tenuto riunioni segrete per costringere i paesi poveri ad accettare risultati già predefiniti per Durban utilizzando anche “mezzi ingiusti, non democratici ed anche sleali per deviare a loro favore i negoziati sul cambiamento climatico”.

Segnaliamo anche la posizione della Congregazione dei vescovi sudafricani che, in linea con le chiare parole spese all’apertura della COP 17 da Papa Benedetto XVI, afferma: “Questa crisi climatica globale pone una grande sfida spirituale a tutti i cristiani, alle altre fedi e a tutti gli uomini e donne di buona volontà, dato che è la conseguenza della distruzione della creazione di Dio a cui tutti in vari modi abbiamo contribuito. Siamo tutti convocati a cambiare mentalità e ad assumere nuovi stili di vita per ridurre la nostra dipendenza dall’energia fossile come il carbone e il petrolio”.

Stiamo a vedere cosa succederà.

Lo Staff di Rete Clima