COP26: nuovo accordo contro la deforestazione entro il 2030 firmato da più di 100 paesi

COP26: nuovo accordo contro la deforestazione entro il 2030 firmato da più di 100 paesi

Dalla Cop26 di Glasgow arriva un primo segnale di speranza. Nel pomeriggio dell'1 novembre i capi di più di 100 paesi, che comprendono l’86% delle foreste mondiali, hanno sottoscritto la “Glasgow Leaders’ Declaration on Forest and Land Use“, impegnandosi con essa ad interrompere e invertire i processi di deforestazione e di degrado del suolo entro il 2030.

"Un accordo chiave per proteggere e ripristinare le foreste della Terra…Questi grandi ecosistemi pieni di vita, vere cattedrali della natura, sono i polmoni del nostro pianeta" (Boris Johnson)


La dichiarazione e il supporto finanziario

Da un punto di vista finanziario, l’accordo è rafforzato dallo stanziamento di 12 miliardi di dollari di fondi pubblici tra il 2021 e il 2025, cui si aggiungono almeno altri 7,2 miliardi di dollari da investimenti privati, per un totale di 19,2 miliardi (“ Global Forest Finance Pledge”).

Si tratta di un impegno significativo, anche e soprattutto considerando quali paesi lo hanno assunto: nell’elenco, infatti, ci sono Stati Uniti, Cina, Russia, Unione Europea, Regno Unito, ma soprattutto il Brasile, che ospita buona parte della foresta amazzonica, il Canada (foresta boreale) e la Repubblica Democratica del Congo (sede della seconda foresta pluviale più grande del mondo).

Al fine di rompere il legame tra le catene di approvvigionamento delle materie prime agricole e la deforestazione, 28 paesi tra i maggiori produttori e/o consumatori di prodotti come olio di palma, soia, cacao, carne bovina e legname, si sono impegnati a garantire che il commercio di queste materie non provenga da terreni deforestati.

La presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, intervenendo alla Cop26, ha dichiarato:

"I consumatori europei ci stanno dicendo sempre più chiaramente che non vogliono consumare prodotti che sono causa di deforestazione o degradazione delle foreste”.

Anche il mondo della finanza si è schierato a favore dell’accordo: di più di 30 istituti finanziari, tra cui Aviva, Schroders e Axa, hanno promesso di porre fine agli investimenti in attività legate alla deforestazione.

 A cosa serviranno i fondi promessi?

A conservare le foreste e altri ecosistemi terrestri e ad accelerare il loro ripristino; ad incentivare l’agricoltura sostenibile; a promuovere il commercio e le politiche di sviluppo a favore della produzione e del consumo di beni sostenibili.

Infine, ma non meno importante, ricordiamo che il governo inglese, promotore dell’iniziativa, ha rivolto particolare attenzione al sostegno delle comunità indigene che “hanno difeso le loro case nella foresta per generazioni(Zac Goldsmith, ministro inglese dell’ambiente e dello sviluppo internazionale).

Cinque stati (tra cui il Regno Unito e gli Stati Uniti) e 17 istituzioni private hanno stanziato un finanziamento pari a 1,7 miliardi di dollari, volto proprio a supportare la conservazione delle foreste da parte delle popolazioni indigene, nonché a rafforzare i diritti che consentono loro di "possedere, gestire e controllare" i territori in cui vivono.

Perché questo accordo è importante?

Il degrado delle foreste e il cambio di destinazione d’uso dei suoli sono responsabili del 24% delle emissioni globali, insieme all’agricoltura: in pratica, tanto quanto il primo emettitore mondiale, la Cina. Perdiamo circa 30 campi da calcio di foresta ogni minuto.

Crediti: IPCC AR5 WG3 mitigation. AFOLU sta per “Agricolture, forestry and Land Use”

Quali sono le cause della deforestazione? Il fattore chiave nella perdita delle foreste è la trasformazione di aree forestali in terreni ad uso agricolo o per l’allevamento, spesso ottenuta tramite incendi di natura dolosa. Anche il cambiamento climatico gioca un ruolo, con la crescente desertificazione e l’accentuarsi delle condizioni che favoriscono gli incendi.

Ridurre questo continuo degrado è di vitale importanza non solo per stabilizzare il clima, ma anche per invertire la catastrofica perdita di biodiversità verificatasi negli ultimi decenni.

deforestazione

Dal punto di vista del raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ci sono almeno tre buoni motivi per agire in tal senso:

  • Le emissioni di CO2 dovute al cambio destinazione d’uso del suolo costituiscono una fetta importante delle emissioni complessive: da sole sono pari al 15% del totale;

  • anche se fermare la deforestazione non arresta immediatamente tutte le emissioni derivanti dalla perdita di foreste del passato – dato che gran parte di queste vengono rilasciate solo nei decenni successivi al taglio degli alberi  - un arresto anticipato della deforestazione permetterà a queste emissioni ritardate di avvicinarsi a zero prima del 2050, “liberando” una porzione di carbon budget per altri settori difficilmente decarbonizzabili;

  • soprattutto, le foreste sono molto più di un deposito di carbonio da proteggere: stanno anche attivamente assorbendo la CO2, cioè fungono da carbon sinks. Si stima che negli ultimi vent’anni abbiano rimosso circa 7,6 miliardi di tonnellate di carbonio ogni anno, pari a circa il 20% delle emissioni globali. Purtroppo, ultimamente, come rivelato da recenti studi condotti sull’Amazzonia, le foreste si stanno trasformando da pozzi netti di carbonio, che assorbono più di quanto rilasciano, ad emettitori.

Insomma, senza l’aiuto delle foreste, non c’è alcuna chance di salvare il clima.

deforestazione
Crediti: Pexels

C’è davvero speranza?

Questo accordo è solo l’ultimo in una serie di iniziative simili fallimentari per fermare la deforestazione. Ricordiamo a tal proposito la “New York Declaration on Forests” del 2014, un’iniziativa volontaria e non vincolante per dimezzare la deforestazione entro il 2020 e fermarla entro il 2030 sottoscritta da 200 tra paesi, gruppi della società civile e organizzazioni degli indigeni. Mancava però l’adesione di Brasile, Russia e Cina.

Da allora, in media, il tasso di deforestazione è aumentato del 41%.

Secondo alcune ONG, la scadenza al 2030 è “decisamente troppo lontana nel tempo” e concede di fatto il “via libera per un altro decennio” alla deforestazione: le promesse di Bolsonaro non sarebbero degne di fiducia, dato che potrebbe avere aderito solo per ottenere l'accesso ai fondi.

Ribadiamo infatti che il GFFP è un accordo non vincolante, il cui mancato adempimento non avrebbe conseguenze per i governi.

Tuttavia, l’iniziativa ben si inserisce nel quadro del “Decennio del Ripristino dell’Ecosistema 2021-2030” (UN Decade on Ecosystem Restoration 2021-2030), proclamato dalla Nazioni Unite lo scorso giugno proprio con lo scopo di prevenire, arrestare e invertire il degrado degli ecosistemi, ed è certamente da considerarsi positiva, anche per le ingenti somme finanziarie in gioco. Il tutto purché non venga considerata dai leader mondiali come una scusa per essere meno ambiziosi su tagli in altri settori (vedi fossili), altrettanto necessari.

Fran Price, responsabile foreste del Wwf International, ha commentato:

“Le foreste forniscono servizi ecosistemici fondamentali per il benessere umano, economico e sociale, eppure continuano a scomparire ad un ritmo allarmante. L’impegno di oltre 100 leader mondiali per fermare e invertire la deforestazione e il degrado del territorio entro il 2030 è notevole, poiché finalmente viene affermato l’importante valore delle foreste e di altri ecosistemi naturali”.

In questo contesto noi di Rete Clima ci impegniamo concretamente in questa direzione, rinnovando proprio in questi giorni l'attuazione dei nostri progetti forestali in Italia:

ET e PV per Rete Clima


Qui il testo integrale della dichiarazione dei leaders.

Qui il documento di impegno finanziario.


Leggi anche:

https://theconversation.com/why-tackling-deforestation-is-so-important-for-slowing-climate-change-170287

https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/nov/02/tackling-deforestation-heart-response-climate-crisis

Agenda 2030: gli obiettivi Ambientali di sviluppo sostenibile. SDG 15 – Vita sulla Terra

https://www.ipcc.ch/srccl/

Report IPCC rischi per sicurezza alimentare, biodiversità e servizi ecosistemici