COP29 di Baku, un vertice senza conquiste decisive per il clima
La 29ª Conferenza delle Parti (COP29) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si è conclusa lo scorso venerdì 22 novembre, portando con sé un misto di speranze e delusioni. Questo appuntamento cruciale, tenutosi in una fase storica segnata da eventi climatici estremi sempre più frequenti, aveva l'obiettivo di accelerare l'azione globale per affrontare la crisi climatica.
Tra i principali risultati della COP29 spicca l'accordo su un fondo per le perdite e i danni, Loss and Damage Fund, destinato a sostenere i paesi più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico.
Questo strumento, pur essendo stato discusso a lungo nelle conferenze precedenti, ha finalmente trovato una base operativa, anche se resta da vedere come verrà finanziato e gestito.
Un altro passo in avanti è stato l’impegno rafforzato da parte di numerosi paesi per eliminare gradualmente i combustibili fossili non mitigati.
Tuttavia, le ambizioni su questo fronte variano notevolmente tra gli Stati, e la formulazione degli impegni lascia spazio a interpretazioni divergenti.
Nonostante i progressi, molti osservatori sottolineano come la COP29 abbia mancato l’obiettivo di stabilire una chiara roadmap verso il raggiungimento degli 1,5°C di aumento massimo della temperatura globale. I piani nazionali di riduzione delle emissioni (NDCs) rimangono insufficienti per raggiungere questo obiettivo fondamentale.
Inoltre, la discussione sull’eliminazione completa dei sussidi ai combustibili fossili è stata rimandata, evidenziando le difficoltà politiche ed economiche di un tema tanto delicato quanto essenziale.
La COP29 ha ribadito che la transizione climatica è in atto, ma il ritmo resta troppo lento rispetto all'urgenza della crisi. Sarà fondamentale che i prossimi appuntamenti portino a impegni vincolanti e verificabili, con una maggiore pressione verso gli stati e le aziende che continuano a investire nei combustibili fossili.
Per quanto, invece, concerne le politiche climatiche del governo italiano sono giudicate «fortemente inadeguate» e «poco ambiziose» secondo la Climate Change Performance Index (CCPI), una classifica globale stilata annualmente da Germanwatch, Climate Action Network e New Climate Institute. Il rapporto, presentato durante l'evento di Baku, offre un quadro preoccupante per l'Italia, che si colloca al 43º posto a livello mondiale per performance climatiche.
Sebbene vi sia un lieve miglioramento rispetto al 2023 (44ª posizione), il paese registra un netto peggioramento rispetto al 2022, evidenziando una tendenza poco incoraggiante.
Confrontando l’Italia con i soli Stati membri dell’Unione Europea, il risultato è ancora più deludente: tra i 27 paesi, l’Italia si posiziona al 20º posto, segnalando un ritardo significativo rispetto agli standard continentali.
Le critiche principali del rapporto si concentrano su alcune decisioni del governo Meloni, tra cui il rinvio della chiusura delle centrali a carbone dal 2025 al 2029 e il ritmo ancora troppo lento nello sviluppo delle energie rinnovabili. Questi fattori, secondo gli autori dello studio, compromettono seriamente la capacità dell’Italia di affrontare in modo efficace la crisi climatica.
In definitiva, la COP29 è stata un passaggio importante, ma non risolutivo. La sfida climatica richiede una risposta collettiva più coraggiosa e decisa, capace di tradurre le parole in azioni concrete per il bene del pianeta e delle generazioni future.
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