Da Bonn a Cancun passando per Cochabamba

Domenica 11 aprile sono terminati i climata change talks di Bonn per definire il calendario che porterà alla Cop 16 dell'UNFCCC di fine anno a Cancun. Ma il meeting di Bonn è stato animato dall’intervento dei delegati statunitensi, verso quei Paesi che non hanno sottoscritto l’accordo di Copenhagen (in aperta critica agli obiettivi poco concreti e ambiziosi qui definiti).

 

Il Washington Post riporta le parole dei delegati statunitensi all’incontro tedesco: “Si può decidere di boicottare l'accordo di Copenaghen, ma ha un prezzo. Per la Bolivia, che è 3 milioni di dollari e per l'Ecuador, che è di 2,5 milioni di dollari”.

 

Il riferimento è soprattutto la Bolivia di Evo Morales, alla testa del nutrito gruppo dei Paesi più critici all'Accordo Usa-Basic (Brasile, Sudafrica, India, Cina) raggiunto a Copenhagen e l'Equador di Rafael Correa, che continua a fare proposte alternative per le compensazioni ambientali locali riguardanti lo sfruttamento del petrolio e delle foreste.

 

Proprio in Boliva verrà ospitata a fine aprile la contro-conferenza di Cochabamba dei Paesi poveri e dei popoli autoctoni.

 

Si noti che entrambi i Paesi sudamericani sono compresi nella Global Climate Change Initiative dell'amministrazione Obama, secondo cui saranno elargiti nel 2010 finanziamenti di 3 milioni dollari per la Bolivia e di 2,5 milioni per l'Equador.

 

E’ anche vero che il Congresso statunitense ha diminuito a 305,7 milioni di dollari i fondi per l'aiuti ai programmi di assistenza al cambiamento climatico (rispetto ai 373 milioni di dollari inizialmente previsti): questo taglio di bilancio è stata l'occasione per  il governo di Washington per dare una chiara indicazione a Bolivia ed Equador, negando loro l'assistenza finanziaria USA nell’ambito del contrasto al cambiamento climatico. Ma gli Stati contrari all’accordo sono parecchi, e colpire solo Bolivia ed Ecuador appare quasi un ammonimento verso due governi scomodi e fuori dagli schemi.  

 

Tuttavia Todd Stern (inviato speciale Usa per il clima) dice che: “Questi fondi sino stati concordati come parte dell'Accordo di Copenhagen e in linea generale gli Usa utilizzeranno questi fondi per i Paesi che hanno manifestato il loro interesse per far parte dell'Accordo”. Secondo Stern la decisione «Non è categorica» e alcuni Paesi che non hanno ancora formato potrebbero ottenere ancora dei finanziamenti. In alcune circostanze.

 

Al contrario David Waskow (Direttore del programma cambiamento climatico di Oxfarm): “Nessuno può mettere in dubbio che le persone povere in Bolivia ed Ecuador siano estremamente vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Dovremmo prendere queste decisioni in base al merito di quanto le comunità hanno bisogno del nostro sostegno e non su alcuni altri fattori. Se si vuole costruire la fiducia e la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, questo non è il modo per farlo, specialmente alla luce del fatto che non abbiamo ancora approvato una legge sul cambiamento climatico”.

 

Alden Meyer (Direttore per il cambiamento climatico dell'Union of Concernist Scientist): “Una tale politica rischia di infiammare ulteriormente le tensioni tra i Paesi industrializzati ed i Paesi in via di sviluppo che sono state un grande ostacolo per ottenere un accordo. Stanno giocando su una linea abbastanza dura. Ma può potenzialmente essere una strategia controproducente. Tagliare gli aiuti per l'adattamento ai Paesi che soffrono degli impatti del cambiamento climatico che sono in gran parte il risultato delle passate emissioni degli Usa e degli altri Paesi industriali rischia di farli apparire  come i cattivi che giocano a fare i moralisti. Non è una strategia che permetterà di fare un buon gioco nei Paesi in via di sviluppo”.

 

Probabilmente il boicottaggio dei fondi sul clima esporrà gli americani ad ulteriori critiche oltre a quelle già infuocate sul fatto che non stanno facendo molto per rispettare le proprie quota di aiuti: fino ad ora dagli Usa sono venuti contributi per poco più di un miliardo al fondo internazionale, molto sotto la  quota prevista.

 

La Bolivia ha naturalmente protestato subito contro la sospensione degli aiuti climatici Usa definendola "Una pratica molto cattiva", ma ha confermato che non cambierà le sue politiche sul global warming.

 

Pablo Solon (delegato boliviano a Bonn) ha detto che gli Usa avevano già ridotto i loro aiuti dopo che la Bolivia si era opposta all'adozione dell'Accordo di Copenaghen, aggiungendo: “Il valore dei negoziati viene messo in dubbio  quando a chi dissente viene applicata la pressione finanziaria. La Bolivia vuole un nuovo testo per un accordo, non la fusione dei quel che è stato concordato a Copenhagen con le conclusioni del processo dell'Onu”.

Ai Climate change talks di Bonn Bolivia e Venezuela hanno criticato l'Accordo di Copenhagen perché è stato elaborato da un gruppo di 28 nazioni al di fuori del processo dell'Onu e perché non è sufficiente a limitare gli aumenti della temperatura media globale a 2 gradi, anzi le farebbe aumentare di 5 gradi. Poi hanno rilanciato, chiedendo all'Onu di mettere da parte l'Accordo.

 

Claudia Salerno (a capo della delegazione  venezuelana): “L'accordo rappresenta gli interessi economici di pochi che vogliono impedire che si segua la strada di un ampio consenso democratico. Nessuno dovrebbe congratularsi con se stesso per questo”.

 

Jonathan Pershing (altro inviato speciale Usa per il cambiamento climatico) a proposito dell’ONU ha detto che non dovrebbe: “…tornare a dove eravamo si era in fase di stallo. Con l'accordo che abbiamo ottenuto, ogni Paese ha dato qualcosa, ma tutti abbiamo guadagnato qualcosa ottenendo un accordo che può essere attuato. Questo non dobbiamo lasciarlo cadere o perderlo”.

 

Più diplomatica e prudente la spagnola Alicia Montalvo (rappresentante a Bonn della presidenza spagnola di turno dell'UE): “Ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di migliorare ciò che facciamo in seno alla Convenzione. Abbiamo bisogno di ripristinare la fiducia nel processo delle Nazioni Unite e tra le parti”.

 

Martin Kaiser (responsabile per la politica climatica di Greenpeace International): “La maggiore sfida per ogni negoziato è quella di definire un obiettivo”.

 

Chissà a cosa arriverà l’interessante “conferenza parallela” di Cochabamba.

 

 

Lo Staff di Rete ClimaTM