Rapporto tra clima e foreste nei negoziati intermedi delle Nazioni Unite

Rapporto tra clima e foreste nei negoziati intermedi delle Nazioni Unite

Proprio in questi giorni si stanno svolgendo i Negoziati Intermedi delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC SB52), per la prima volta online.

Questi negoziati si tengono ogni anno in preparazione della COP, la Conferenza delle Parti, la quale riunisce annualmente dal 1995 i paesi firmatari degli Accordi di Rio, cioè della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

Per capire l’importanza di questi negoziati internazionali, basti pensare che proprio durante la ventunesima COP nel dicembre 2015, la COP21, a Parigi, è stato adottato il fondamentale Accordo di Parigi, entrato in vigore il 4 novembre 2016 e ad oggi ratificato da 191 paesi.

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L’Accordo di Parigi prevede che la crescita della temperatura media globale sia mantenuta ben al di sotto di 2°C rispetto al livello pre-industriale e che si faccia tutto il possibile per limitarla a 1.5°C. Affiché si consegua quest’ultimo obiettivo, è necessario raggiungere emissioni nette zero di CO2 entro il 2050, ed è quindi proprio sull’Accordo di Parigi che si basano i recenti impegni di Europa, Giappone e Corea del Sud, ad esempio, i quali si sono impegnati a concretizzare proprio questo target. Quello di 1.5°C, insomma, è l’obiettivo globalmente riconosciuto nella lotta al cambiamento climatico.

Ma da dove discende questo numero? L’Accordo di Parigi non è solamente il risultato di intense e difficoltose negoziazioni internazionali, ma è soprattutto il risultato della scienza del clima: sono i modelli climatici ad indicarci che le conseguenze di un riscaldamento oltre gli 1.5°C sarebbero insostenibili.

Per questo, durante le negoziazioni delle COP e durante le negoziazioni intermedie, come quelle che si stanno svolgendo in queste ore, vengono dedicati diversi eventi alla presentazione dei risultati scientifici ai delegati dei diversi Stati e alla discussione fra questi ultimi e gli esperti scienziati.

Anche quest’anno, è stato dedicato ampio spazio in questi eventi a un tema molto caro a Rete Clima: il rapporto fra la lotta al cambiamento climatico e le foreste.

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Fonte: Pixabay

Clima e foreste

Durante i “research dialogues” sul tema sono intervenuti esperti dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC).

Le foreste sono parte delle cosiddette Nature Based Solutions, definite dalla IUCN come “azioni per proteggere, gestire in modo sostenibile e ripristinare ecosistemi naturali o modificati, che mirano ad affrontare in modo efficace ed adattivo sfide della società (ad esempio il cambiamento climatico, la sicurezza idrica o alimentare, i disastri naturali), fornendo simultaneamente benefici per l’uomo e per la biodiversità”. Si tratta, insomma, di soluzioni che basano il proprio buon funzionamento sul benessere degli ecosistemi.

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Il ripristino e la gestione delle foreste sono soluzioni Nature Based: oltre a sostenere gli ecosistemi, contribuiscono alla mitigazione, grazie alla loro capacità di incrementare gli assorbimenti di CO2, e all’adattamento al cambiamento climatico, ad esempio nella prevenzione del rischio idrogeologico riducendo la probabilità di frane e smottamenti.

Come sottolineato dagli esperti intervenuti nei “research dialogues”, le soluzioni Nature Based nel complesso potrebbero costituire più di un terzo della mitigazione necessaria entro il 2030 per contenere il riscaldamento climatico sotto i 2°C. Inoltre, permettono di intervenire simultaneamente su diverse crisi ambientali, come quelle della biodiversità e del clima.

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Possibile contributo delle Nature Based Solutions ai target di mitigazione climatica. Fonte: Griscom et al., PNAS, 2020

Si tratta, insomma, di strumenti di incredibile valore, che, però, devono essere utilizzati con estrema cautela e cura: da una parte queste soluzioni sono spesso soggetto di azioni di Greenwashing, soprattutto a causa di progetti che non tengono conto proprio di quanto la loro stessa riuscita si basi sulla salute degli ecosistemi.

Ad esempio, il ripristino delle foreste ai fini di mitigazione deve utilizzare specie integrabili nell’ambiente e le piante devono essere mantenute nella loro crescita, così che un incendio, ad esempio, non annulli i risultati ottenuti.

Detto ciò, Hans-Otto Pörtner dell’IPCC e Minna Epps dello IUCN pongono un'altra questione fondamentale nel mettere in guardia dall’utilizzo di tali forme di mitigazione come scusa per ritardare la riduzione delle emissioni stesse.

Le Nature Based solutions, infatti, subiscono gli impatti del cambiamento climatico e la loro efficacia nell’assorbimento di carbonio risulta fortemente ridotta – se non annullata – negli scenari di maggior riscaldamento: già oggi l’Amazzonia è una fonte (e non un assorbitore) netta di carbonio.

Performance del metabolismo del carbonio su terra in dipendenza dalla temperatura. Fonte: Duffy et al., Sci. Adv. 2021, presentazione di Hans-Otto Pörtner alle Nazioni Unite

Pörtner sottolinea: “Riduzioni ambiziose delle emissioni serra sono cruciali per mantenere/rinforzare la capacità della biosfera di supportare sia la mitigazione che l’adattamento”. Non sono un sostituto, ma un meccanismo complementare alla decarbonizzazione.

Frazione di superficie vegetata in declino e produttività della biosfera in termini di sequestro del carbonio nei diversi scenari di emissione. Fonte: Duffy et al., Sci. Adv. 2021, presentazione di Hans-Otto Pörtner alle Nazioni Unite

Infine, conclude: Ambiziose riduzioni delle emissioni, combinate con la gestione dei suoli e dell’oceano per la conservazione e il ripristino, supportano la conservazione della biodiversità, la sicurezza alimentare, la mitigazione del clima, e … permettono di evitare future pandemie!

Adattamento dell’articolo pubblicato per Italian Climate Network da Elisa Terenghi


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