Impronta ecologica della carne: carne come seconda causa dell’effetto serra – 2

Questo post è il proseguimento di questo primo post, ispirato alle sempre interessanti riflessioni di Marco Pagani su Ecoalfabeta.

Nel post precedente si introduceva un report dell’UNEP che definiva l’allevamento come la seconda causa dell’effetto serra di origine umana: qui proponiamo invece alcuni brani di una interessante –per quanto “datata”- intervista a Jeremy Rifkin, economista di fama globale con particolare interesse verso l’ambiente e l’economia ambientale ed energetica.

Anche Rifkin fa notare che l’allevamento degli animali è la seconda causa del riscaldamento globale, analisi condivisa dalla FAO secondo cui il business dell'allevamento degli animali genera più gas serra del sistema dei trasporti (genera –cioè- circa il 18% del totale dei gas serra emessi dall’uomo).

Anche uno studio giapponese ha recentemente valutato l'impatto ambientale del consumo di carne in termini di consumi energetici (evidentemente in gran parte di energia fossile, dato che attualmente dipendiamo prevalentemente dal petrolio) e di effetto serra: secondo lo studio, produrre un kg di carne in Giappone costa la bellezza di 160 MJ di energia e causa l'emissione di 36 kg di  CO2 equivalente in atmosfera (si tratta di dati particolarmente elevati dato che il Giappone importa il mangime dagli USA e alleva i vitelli per un periodo più lungo, 19 mesi contro gli 8 circa in Europa).

Ma in Europa? Secondo un articolo dell'Università di Manchester, un kg di carne bovina ci costa 44 MJ di energia e almeno 15 kg di CO2 (in alcuni casi le emissioni potrebbero essere più alte).

carne

Secondo uno studio italiano, i vitelloni consumano circa in media 3 kg al giorno di mais e altri cereali: lo studio ha seguito l'ingrasso dei bovini, la cui durata media è stata di 246 giorni, per un consumo totale di 738 kg di mais.

L'aumento di massa dei vitelloni è stato di circa 1,3 kg al giorno per un aumento totale di circa 320 kg (per semplicità considerati interamente edibili): il consumo di mais è quindi stato di 738/320=2,3 kg di mais per kg di carne.

Secondo questo studio australiano, per produrre 1 kg di mais si emettono 0,4 kg di CO2 (produzione fertilizzanti, irrigazione, trasporti ecc) più altri 0,3 kg equivalenti dovuti alle emissioni di N2O dai campi: in Italia si usano circa 180 kg di concimi azotati per ettaro contro i 43 dell'Australia (cioè 4 volte di più) anche le emissioni di N2O saranno quindi circa 4 volte di più, ovvero 1,35 kg di CO2 equivalente per kg di mais.

In totale abbiamo quindi 0.4 + 1.35 = 1.75 kg di CO2 per kg di mais (bisognerebbe considerare il silo mais, cioè il mais insilato derivato dalla triturazione dell’intera pannocchia, ma non abbiamo dati precisi sul suo potere calorifico).

Combinando insieme i due risultati precedenti si ottiene 2.3 x 1.75 =  4 kg CO2 per kg di carne.

la_carne (Small)Secondo questo articolo, inoltre, un vitellone in crescita emette in media 140 g di metano al giorno (mentre un bovino adulto ne emette circa 230 grammi). Moltiplicando questo valore per i 246 giorni di ingrasso di trovano circa 35 kg di Metano, ovvero 0.1 kg per ogni kg di carne edibile, corrispondenti a 2,3 kg di CO2 equivalente per kg di carne (dato che il CH4 ha una capacità di riscaldamento del clima pari a 21 volte quello della CO2). 

Abbiamo così 4 + 2.3 = 6,3 kg CO2 per kg di carne.

Dato che il consumo medio di carne in Italia è di circa 105 kg carne/anno per ogni persona adulta, le emissioni annue legate alla carne per ogni italiano adulto carnivoro sono quindi calcolabili in 6.3 x 105 = 660 kg CO2/anno 

In termini energetici, si è detto che per produrre un kg di carne occorrono 44 MJ di energia: il medesimo kg di carne una volta che si trova nel piatto fornisce energia per circa 4,3 - 5 MJ.

In altre parole, occorrono 10 unità di energia (più che altro fossile) per poterne mangiare una....se potessimo mangiare direttamente il petrolio risparmieremmo davvero molta energia lungo le varie filiere produttive. Ma non possiamo.

carne1 (2)Dai conti presentati qui sopra appare chiaro che è necessario cambiare le proprie abitudini alimentari,  un modo semplice per aiutare il nostro pianeta e il nostro futuro. Su questo sito insistiamo sull’importanza delle molte piccole azioni quotidiane messe in campo da altrettanti cittadini consapevoli sul proprio ruolo di inquinatori, e quindi anche dell’efficacia delle proprie azioni quotidiane.

E’ quindi davvero importate che il contrasto al cambiamento climatico “parta dal basso”, cioè da una serie innumerevole di azioni quotidiane e diffuse tra i cittadini, le quali sono collettivamente capaci di effetti ambientali rilevanti.

Anche perché il consumatore è davvero il motore dell’economia, e quindi con le proprie piccole scelte di consumo quotidiane è capace di indirizzare la produzione economica globale: l’azione di consumo è quindi una azione “politica”, nel senso che acquistando uno specifico prodotto si va –di fatto- ad “appoggiare” ed incentivare la filiera che l’ha prodotto......e che tornerà a produrlo, dato che quel bene ha “avuto mercato”.

Quello che si mette nel carrello oggi è ciò che verrà prodotto domani, di questo tutti noi dobbiamo rendercene conto.

E allora, andare a scegliere un prodotto con “marchi ambientali” o con “etichette energetiche” o “etichette emissive” (all’estero esistono questi processi di quantificazione dell’impatto dei prodotti, con la successiva comunicazione ai cittadini attraverso etichette ambientali apposte sui prodotti medesimi) diventa allora una scelta politica, economica e di sostenibilità.

Con un occhio particolare alla carne, prodotto a rilevante impatto climatico.


Lo Staff di Rete Clima®



Quiil terzo ed ultimo post sull'impatto climatico della carne.