NIMBY (Not In My Back Yard) fra dati, cause e possibili soluzioni

NIMBY (Not In My Back Yard) fra dati, cause e possibili soluzioni

Le tecnologie e le risorse per la transizione energetica in Italia esistono e sono sostenibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista ambientale.

Un esempio è quello dell’eolico offshore, di cui il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede di installare 900 MW entro il 2030: tali infrastrutture sarebbero in grado di generare 1.200 posti di lavoro ed hanno anche ricevuto la piena approvazione da Legambiente, Greenpeace e Kyoto club, con la firma a novembre 2020 del “Manifesto per lo sviluppo dell’eolico offshore in Italia, nel rispetto della tutela ambientale e paesaggistica”.

Eppure, il progetto del parco eolico che sarebbe dovuto sorgere fra ben 10 e 22 km di distanza dalle coste riminesi è stato bloccato dal Comune di Rimini.

Tale stop sarebbe il risultato dei timori della popolazione nei confronti di quello che l’ONG Italia Nostra ha definito un “ecomostro”, a detta loro di grande impatto visivo e in grado di porre a rischio il turismo nella zona.

Fonte: Pixabay

Il fenomeno Nimby

Purtroppo, non si tratta di un caso isolato: il fenomeno Nimby (dall’inglese “Not In My Back Yard”, non nel mio cortile) blocca in Italia centinaia di progetti di pubblica utilità. Il termine si riferisce proprio all’opposizione alla realizzazione di opere di pubbliche su un determinato territorio da parte della popolazione locale, i cui interessi spesso non corrispondono a quelli collettivi.

Secondo l’ultimo censimento del fenomeno, condotto dall’Osservatorio Nimby Forum, ad essere colpiti sono progetti del comparto energetico (57% del totale delle opere contestate, soprattutto attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi), di gestione dei rifiuti (36%, fra cui discariche, termovalorizzatori e impianti di compostaggio), e altre infrastrutture legate soprattutto ai trasporti, per un totale di 317 opere. Fra gli impianti di produzione elettrica contestati, il 73%, purtroppo, sono da fonti rinnovabili, di cui la maggioranza (35) sono centrali a biomasse, al secondo posto dopo la ricerca di idrocarburi nella classifica generale per numero di opere contestate. Altri 20 sono impianti eolici, geotermici ed idroelettrici.

Contestazioni per tipologia, fonte: Osservatorio Nimby Forum - XIII edizione 2017/2018

I contenziosi si concentrano nelle regioni del nord, dove il maggior grado di industrializzazione e la maggiore densità di popolazione rendono necessarie più infrastrutture e quindi un maggior numero di progetti.

Ma quali sono le principali motivazioni dietro ai fenomeni Nimby?

Le cause del fenomeno Nimby fra razionalità e “no per principio”

Nei sondaggi del Nimby Forum, le cause più citate sono nell’ordine: gli effetti sulla qualità della vita, l’impatto sull’ambiente, le carenze procedurali/di coinvolgimento, gli effetti sulla salute, l’inquinamento, gli interessi economici, la viabilità e motivazioni estetiche.

In una recente analisi sul tema, il laboratorio Ref Ricerche pone l’attenzione su un’importante distinzione: Ci sono dei «NO» motivati, in esito ad una informata riflessione, e «NO» figli dell’appartenenza ad una identità culturale che va diffondendosi nel Paese.”

Da una parte, quindi, ci sarebbero motivazioni chiare e ragionate, legate spesso agli impatti sulla salute e sull’ambiente; dall’altra “l’opposizione al nuovo, al moderno, al cambiamento, si trasforma in un elemento attraverso il quale identificarsi come individuo e come parte di una comunità. Grazie ad esso, infatti, è possibile, al contempo, riconoscere i propri «simili» e «amici» a cui unirsi e individuare i «diversi» e «nemici» contro cui opporsi. […] Una chiave di lettura immediata e a buon mercato della realtà.”

Un rifiuto che, sempre secondo Ref Ricerche, “il più della volte è diventato lo strumento per altri tipi di rivendicazione (politica, partitica, identitaria, culturale) che nello specifico non avevano stretti legami con la ragione per la quale quella negazione veniva espressa.”

nimby
Fonte: Pexels/Alexander Kovalev

La mancanza di fiducia e il ruolo della politica

Andando alla radice del fenomeno, troviamo semplicemente la mancanza di fiducia verso le aziende proponenti e soprattutto verso le istituzioni che dovrebbero controllare il loro operato. A cosa possono servire leggi sui limiti di inquinamento o impatto ambientale quando si dà per scontato il mancato rispetto delle stesse? E promesse di riqualificazione del territorio se si ha poca fiducia nella loro effettiva realizzazione?

Purtroppo però, invece di cercare una soluzione al problema della fiducia, spesso le istituzioni lo sfruttano a fini elettorali, ponendosi a guida dei “no per principio”: non per niente è stato coniato anche il termine Nimto (Not In My Terms of Office, non durante il mio mandato).

Infatti, il report dell’Osservatorio Nimby Forum mostra come nella maggior parte dei casi il dissenso è guidato da enti pubblici e dalla politica (per un totale di quasi il 52%), seguiti dalla matrice popolare pura (quali comitati, etc.) al 35%, mentre le associazioni ambientaliste e di categoria/sindacati rappresentano rispettivamente solo il 10% e 4% delle contestazioni.

Nimby come reazione irrazionale?

Tuttavia, le statistiche elaborate dal Nimby Forum non aiutano a distinguere i due tipi di opposizione – razionale o “reazionaria”: considerando solamente il settore energetico, ad esempio, le attività legate esclusivamente ai combustibili fossili costituiscono poco più del 57% delle contestazioni, le centrali a biomassa il 19,8%, mentre eolico, geotermico e idroelettrico messi insieme solo l’11%.

Difficilmente l’opposizione a nuovi impianti alimentati ad energia fossile potrebbe essere considerata contraria all’interesse comune; allo stesso modo, la contestazione delle centrali a biomassa potrebbe derivare da legittime preoccupazioni legate all’inquinamento. Sarebbe però più significativo conoscere le percentuali di progetti contestati sul totale di quelli avviati in ogni settore: la differenza numerica appena esposta potrebbe derivare semplicemente da un maggior numero totale di progetti fossili proposti rispetto a quelli rinnovabili.

Leggi anche: Ecco i motivi per cui l’Italia dovrebbe abbandonare il gas

nimby
Fonte: Pixabay/John Loannidis

Quando l’opposizione non è effettivamente razionale ma dovuta a mancanza di fiducia, quali sono le soluzioni migliori per ricostruirla?

Le possibili soluzioni

Il dibattito pubblico

In Francia nel 1995 è stata introdotta una legge sul dibattito pubblico che ha permesso di realizzare 65 dibattiti fra il ‘97 e il 2011: circa due terzi dei progetti dibattuti sono stati rivisti, consentendo la loro finalizzazione. Una chiave, insomma, sarebbe il coinvolgimento attivo delle comunità locali, al fine di introdurre correzioni ai progetti così che possano essere accolti più favorevolmente. In Italia il dibattito pubblico nella fase preliminare del progetto è stato introdotto qualche anno fa.

Tuttavia, è obbligatorio solo per grandi opere di interesse nazionale o, in misura diversa e più limitata, per stabilimenti a Rischio di Incidente Rilevante ed esclude, di conseguenza, diversi tipi di impianti per il trattamento dei rifiuti, che spesso sarebbero utili – in particolare gli impianti di riciclo – in ottica di economia circolare.

È proprio il Ref a suggerire un’evoluzione della norma che possa prevedere percorsi specificatamente dedicati ai servizi pubblici locali: "Il pensare strumenti e pratiche privilegiate di dibattito pubblico per questo tipo di servizi può essere percepito come una occasione per costruire relazioni di fiducia e di dialogo con le istituzioni e con gli operatori.

Gli incentivi economici

L’altra chiave è la creazione di incentivi economici diretti per le comunità coinvolte, che possano trasformare il Nimby in Pimby (Please In My Back Yard). Un esempio è la creazione di comunità energetiche che sfruttino contratti di vendita dell’energia a lungo termine e a prezzi garantiti (Ppa), concordati fra le comunità e le aziende che intendono realizzare impianti rinnovabili.

Le due soluzioni devono necessariamente essere complementari: nel caso del deposito nazionale di rifiuti radioattivi, ad esempio, gli investimenti promessi nella creazione di un centro avanzato di ricerca sul luogo, gli incentivi economici per il territorio e gli almeno 700 posti di lavoro che verrebbero generati non sono bastati a scongiurare i secchi “no” di diverse amministrazioni comunali e regionali. È in corso la consultazione pubblica.

Fonte: Unsplash/Jon Tyson

Non dimentichiamo, quindi, il ruolo delle istituzioni locali, che dovrebbero superare il Nimto – l’orizzonte della prossima elezione, il timore per la possibile perdita di consenso – per perseguire lo sviluppo sostenibile: un percorso tanto necessario quanto, purtroppo, di lungo termine.

ET per Rete Clima