Record di emissioni globali di CO2 nel 2010: 33 miliardi di tonnellate (+ 45% nel periodo 1990-2010)

 

Il 1990 è la baseline emissiva da cui partono gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per i Paesi sottoscrittori il Protocollo di Kyoto: se pure tali Paesi, complice anche la crisi economica di questi anni, hanno spesso raggiunto risultati interessanti nell’ambito delle proprie performance emissive, globalmente le dinamiche emissive non vanno bene (a fronte di un cambiamento climatico che non sta tardando a fare sentire i suoi effetti ed i suoi costi).


Tra il 1990 e il 2010 le emissioni di CO2 a livello globale sono aumentate del 45%, raggiungendo nel 2010 il massimo storico di 33 miliardi di tonnellate: i maggiori contribuenti sono gli USA e le economie emergenti.

Questi dati sono contenuti nel rapporto “Long-term trend in global CO2 emission”, realizzato per la Commissione europea dall’Istituto per l’ambiente e la sostenibilità del Joint Research Center europeo e dalla PBL Netherlands Environmental Assessment Agency.

Dal report, che si basa sui recenti risultati dell’Emissions Database for Global Atmospheric Research (EDGAR) e sulle statistiche riguardanti l’uso dell’energia e altre attività, si evince come né l’aumento dell’efficienza energetica nè il crescente contributo delle fonti rinnovabili siano riuscite a compensare la sempre maggiore domanda globale di energia e trasporti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (si noti che Cina e India hanno fatto invece registrare un incremento elevatissimo nelle emissioni, rispettivamente del +257% e del +180%).

Cambia il discorso se si guarda alle emissioni pro-capite: gli statunitensi emettono ancora 16,9 tonnellate di CO2 a testa all'anno, l'Europa 8,1, i cinesi 6,8 e gli indiani meno di 2.

In ogni caso, venendo a parlare degli obiettivi espressi dal Protocollo di Kyoto, i paesi industrializzati riusciranno a soddisfare l’obiettivo collettivo di una riduzione del 5,2% dei gas a effetto serra entro il 2012, grazie ad una diversificazione del proprio mix energetico verso fonti a più basso tenore di carbonio (come il gas naturale), grazie ad una promozione delle energie rinnovabili e ad una forte promozione dell’efficienza energetica nei suoi usi finali.

Nel complesso, infatti, i paesi industrializzati che hanno sottoscritto Kyoto (aiutati anche dal crollo del blocco sovietico) riusciranno a raggiungere l'obiettivo del 2012 (-5,2% rispetto al 1990) considerando che hanno già raggiunto un buon –7,5%: vero anche che il contributo è venuto soprattutto da Europa (-7% dal 1990) e Russia (-28%), mentre negli Usa le emissioni hanno continuato a salire (+5%) e in Giappone sono rimaste stabili.

E l’l'Italia? Aiutata forse più dalla crisi economica e dalla deindustrializzazione più che politiche coerenti e ad ampia visione, in questi vent'anni ha tagliato la CO2 solo del -3%, troppo poco rispetto al proprio obiettivo identificato dal Protocollo di Kyoto in un -6,5% (entro fine 2012) e molto distante anche dall'obiettivo europeo del -20% al 2020.

Analizzando questi valori si deve però anche riflettere su quanto valga la riduzione collegata al trasferimento di produzioni energivore dai Paesi industrializzati verso le economie emergenti (come la Cina), che di fatto non hanno fatto altro che delocalizzare le emissioni di gas serra, complessivamente aumentandole a causa dell’enorme crescita dei trasporti.

In questa logica si capisce meglio il ruolo dei paesi in via di sviluppo e delle economie emergenti, responsabili di un aumento del 5,8% delle emissioni di CO2, a causa di produzioni che spesso non sono solo le loro.

 

Lo Staff di Rete Clima®