I costi del cambiamento climatico nel 2010: i conti delle Assicurazioni

Le compagnie assicuratrici sanno fare i conti.

Calcolano in continuazione le probabilità di accadimento di fenomeni negativi, al fine di poter quantificare il premio monetario da far pagare a coloro che vogliono assicurarsi contro quei tipi di rischi: i loro conti devono quindi necessariamente essere precisi.

E, alla faccia di chi nega il cambiamento climatico, le compagnie assicurative hanno verificato in questi anni -conti alla mano- che il riscaldamento climatico è già oggi una problematica vera e più che seria (sia in termini di probabilità di eventi climatici negativi che di danni), mentre domani rischia di diventare addirittura drammatica (anche per le loro tasche).

Infatti con l'aumento della frequenza degli eventi metereologici estremi legati al riscaldamento climatico globale crescono anche i rimborsi dei danni che le compagnie devono liquidare ai propri assicurati: danni e costi che sempre più sono destinati a crescere dato che -stante il trend con cui si sta riscaldando il clima- tempeste, uragani, alluvioni e incendi saranno sempre più frequenti.

Questo è –in estrema sintesi- il succo del recente report del colosso assicurativo Munich Re sui disastri naturali nel 2010, uno dei tre anni più caldi di sempre (il 2010 è infatti stato l'anno più caldo -a pari merito con il 2005 e il 1998- da quando l'Organizzazione meterologica mondiale raccoglie i dati delle misurazioni meteorologiche, intorno al 1850 circa) ed il secondo in quanto a danni economici originati dai disastri naturali (da quando le compagnie assicurative hanno iniziato a tenere il conto, nel 1980).

In particolare, le catastrofi naturali nel 2010 sono state 960 e hanno causato perdite economiche per 150 miliardi di dollari, a fronte di un esborso diretto da parte delle compagnie assicurative di 37 miliardi (negli altri casi sono intervenuti gli Stati nazionali tramite indennizzi diretti ed opere di ricostruzione): a livello economico era andata peggio solo nel 2005, quando l'uragano Katrina era costato -da solo- 145 miliardi di dollari.

In base alla prudenza che deve sempre caratterizzare le affermazioni in campo scientifico, i danni del 2010 non sono totalmente riconducibili al cambiamento climatico, ma –come riconosce anche il report- il riscaldamento climatico e gli eventi metereologici estremi ad esso associati sono la causa principale di questo record numerico ed economico del 2010.

Se infatti un ruolo importante nella determinazione dei danni è stato giocato dai terremoti (responsabili di circa un terzo delle perdite economiche), la maggior parte dei danni sono stati causati dagli eventi metereologici e dagli incendi dovuti alla siccità.

Come già dicevamo, fa preoccupare il fatto che queste dinamiche fanno parte di una tendenza crescente negli ultimi 30 anni.

Come si vede –infatti- dal grafico sottostante, che visualizza i disastri naturali degli ultimi 30 anni dividendoli per tipologia, gli eventi correlabili al cambiamento climatico (quali: uragani, ondate di calore, freddo o siccità, incendi boschivi, tempeste, alluvioni) stanno aumentando rapidamente sia in termini di intensità che di frequenza: esattamente come già previsto dall’IPCC nel suo primo report sul cambiamento climatico -di quasi vent’anni orsono- circa le conseguenze meteoclimatiche del riscaldamento climatico globale.

Dal report: "Catastrofi come le alluvioni in Pakistan o gli incendi boschivi in Russia sono eventi estremi nel contesto di tendenze regionali che sono con ogni probabilità attribuibili al cambiamento climatico".

Proprio in riferimento agli eventi meteorologici, il report contabilizza che il 78% dei 600 miliardi che le compagnie assicurative hanno speso per disastri naturali dal 1980 a oggi è stato destinato proprio a pagare danni causati da eventi metereologici.

Nello studio sono riassunte le principali manifestazioni del cambiamento climatico, a partire dalle anomalie termiche (in Groenlandia e in Canada orientale nel 2010 si sono registrati 3 °C in più rispetto alla media) per arrivare alla diminuzione della superficie artica coperta dai ghiacci (a settembre 2010 era un terzo in meno rispetto alla fine degli anni '70), all’'alterazione del pattern delle precipitazioni (in alcuni luoghi sta piovendo molto di più della media, in altri invece meno….si passa dalle zone a rischio desertificazione alle alluvioni estive in Pakistan, India e Cina sud orientale, fino alle recente alluvioni australiane).  

Grosse preoccupazione per gli assicuratori, quindi, ma anche e soprattutto per tutti i cittadini del mondo.

Munich Re nel suo report incita all’azione, a partire dalla politica internazionale: se a Cancun è stato raggiunto "un risultato positivo ma minimo" (…) "Ora bisogna compiere ogni sforzo per includere Cina e Stati Uniti nel trattato che seguirà quello di Kyoto". E poi: " Servono impegni della riduzione della CO2 più decisi rispetto a quelli proposti volontariamente a Copenhagen, altrimenti l'obiettivo di restare entro i 2°C non potrà essere raggiunto".

Sta parlando un assicuratore, ricordiamolo, non qualche ambientalista che magari può essere bollato come invasato o allarmista o incompetente.

 

Lo Staff di Rete Clima®