Effetti del cambiamento climatico in Russia: cambiano anche le opinioni (finalmente!)

I roghi e le ondate di calore che stanno contrassegnando l’estate 2010 hanno colpito profondamente l’opinione pubblica russa.

Dopo questo significativo post, segnaliamo notizia della dichiarazione del presidente Russo Dmitri Medvedev, il quale lo scorso 30 luglio ha detto che: “Quello che sta accadendo al clima del pianeta rappresenta un forte segnale per noi e tutti i Capi di Stato dovrebbero assumere un atteggiamento più incisivo per contrastare il riscaldamento globale”.

Un bel cambio di rotta rispetto anche solo ad un anno fa per chi, come Medvev, poco prima di Copenaghen affermava che le emissioni russe sarebbero cresciute del 30% al 2020, perché il suo paese non intendeva mettere freni allo sviluppo.

Storicamente in Russia la questione climatica ha ricevuto un’attenzione piuttosto blanda e sono proliferati i negazionisti: in un documentario trasmesso lo scorso anno dalla televisione pubblica si era arrivati a dire che la teoria del cambiamento del clima era una cospirazione dei media internazionali.

Anzi secondo molti semplicisti, Putin compreso (leggi qui) in un paese con inverni molto rigidi un aumento di temperatura non avrebbe potuto fare che bene.

Invece questa estate con temperature che hanno superato i 40 °C sta facendo ricredere molti: a causa della siccità si è infatti finora perso il raccolto di grano di 10 milioni di ettari (quattro volte la Sicilia), cioè circa un quinto della produzione russa è stata distrutta, con un contraccolpo sui mercati internazionali dove i prezzi sono aumentati del 50% dalla fine di giugno, mentre oltre 120.000 ettari di boschi sono bruciati e 1.500 edifici sono stati distrutti dalle fiamme.

E’ tempo di fare qualcosa, in vista dell’appuntamento di Cancun (Cop 16): in questa logica è positiva la posizione di Germania, Gran Bretagna e Francia, che durante i climate talk di Bonn hanno chiesto di innalzare dal 20% al 30% l’obbiettivo europeo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020.

E l’Italia? Ultima, come al solito, alla guida le retroguardia dei paesi che invece non vogliono innalzare l’obiettivo del 20% di riduzione: tutto questo anche se, per effetto della crisi economica, il taglio del 20% diventerebbe molto più facile da conseguire, ed il -30% sarebbe altrettanto facilitato.

Ma ecco un'altra brutta notizia. Il calo dei consumi energetici sta mettendo in crisi lo schema dell’emissions trading per le industrie energivore: il costo dell’anidride carbonica sui mercati è infatti crollato a 14 €/t non rendendo convenienti gli investimenti di riduzione.

Molte industrie si trovano con emissioni al di sotto del tetto loro assegnato e fanno affari vendendo le quote: l’unica soluzione è quella di innalzare gli obiettivi, come anche molti gruppi industriali europei (per l’Italia la sola Barilla) hanno recentemente richiesto ai governi


Lo Staff di Rete Clima®