Il rischio di perdita del capitale naturale minaccia il 55% del PIL globale

Il rischio di perdita del capitale naturale minaccia il 55% del PIL globale

Siamo alle soglie di una sesta estinzione di massa: il tasso di estinzione è già da dieci a cento volte superiore alla media degli ultimi 10 milioni di anni; secondo l’IPBES, degli 8 milioni di specie animali e vegetali conosciuti, un milione potrebbe estinguersi nel giro di pochi decenni.

Eppure, la prosperità della natura sta alla base del benessere umano: tutti i settori economici dipendono almeno in parte dai “servizi ecosistemici”.

Il rapporto tra imprese e natura può essere inteso secondo due dimensioni: da una parte gli impatti (negativi o positivi) dell’attività economica sulla natura, dall’altra le dipendenze che la stessa impresa presenta dai servizi forniti dalla natura.

Dipendenze ed impatti espongono le attività economiche a varie tipologie di rischi; possono però anche fornire delle nuove opportunità.

capitale naturale
Crediti: TNFD

La maggior parte dei leader aziendali riconosce questi legami , tanto che da anni i rischi legati al clima e alla perdita di biodiversità si collocano ai primi posti nel sondaggio annuale condotto dal WEF (World Economic Forum).

Nell’ultimo rapporto troviamo proprio la  perdita di biodiversità e il collasso degli ecosistemi tra i cinque principali problemi che minacciano l'economia globale nei prossimi 10 anni, insieme a eventi estremi, cambiamenti critici nei sistemi del pianeta Terra (cioè superamento dei tipping point).

Crediti: WEF

Da un punto di vista prettamente economico, a prescindere quindi dal loro valore intrinseco, i servizi ecosistemici possono essere quantificati in termini monetari, da cui il termine di capitale naturale.

Un punto di vista, questo, che permette di valutare meglio l’importanza della natura per la società.

Il rapporto: “Gestire i rischi legati alla natura. Dalla comprensione all'azione”

Un’ analisi condotta da PwC nel 2023 stima che il 55% del PIL mondiale, pari a 58.000 miliardi di dollari, dipenda in qualche modo dai servizi ecosistemici: un valore in aumento rispetto a quello indicato nel rapporto pubblicato nel 2020 dalla stessa PwC in collaborazione con il WEF.

Ma quali sono i settori più esposti e di quanto? E perché questo interessa anche le istituzioni finanziarie e i singoli investitori?

A partire dai dati presenti in due banche dati pubbliche (ENCORE, di NCFA e UNEP-WCMC e EXIOBASE), il rapporto stima la dipendenza dalla natura di 20 settori industriali e delle loro catene di approvvigionamento, classificandoli in tre categorie in base al loro livello di dipendenza: alto, moderato e basso.

Il livello di dipendenza misura il grado di esposizione del valore economico generato dalle imprese al rischio di alterazioni dell'ecosistema: nel caso di alta dipendenza le aziende potrebbero addirittura fallire finanziariamente; una dipendenza moderata implica che eventuali impatti sull’ecosistema potrebbero ridurre in modo significativo i rendimenti finanziari.

Esaminiamo più in dettaglio le tre categorie.

Industrie altamente dipendenti dalla natura

Si tratta di 5 settori, tra cui agricoltura, silvicoltura e edilizia, che presentano una dipendenza del 100% dai servizi ecosistemici nelle loro operazioni dirette; inoltre, almeno il 50% del valore economico prodotto dalle loro supply chain risulta fortemente dipendente dalla natura.

Insieme, le cinque industrie di questo gruppo producono il 12% del PIL mondiale.

Industrie moderatamente dipendenti dalla natura

Questi 11 settori, tra cui quello automobilistico, dei beni di consumo, immobiliare e minerario, hanno una dipendenza moderata o alta dalla natura per almeno il 35% del valore economico generato complessivamente da operazioni dirette e supply chain.

Industrie marginalmente dipendenti dalla natura

Per le quattro industrie di questo gruppo, meno del 35% del valore economico generato complessivamente è dipendente dalla natura.

È importante sottolineare che anche i settori con livelli di dipendenza più bassi nelle proprie operazioni dirette potrebbero comunque presentare una certa esposizione al rischio a causa delle dipendenze nelle loro catene del valore.

La dipendenza delle borse valori

Il rapporto valuta poi l’impatto della dipendenza dalla natura sulle società quotate in 19 grandi borse valori di tutto il mondo.

La conclusione è stata che più della metà del valore di mercato delle borse – pari a 45.000 miliardi di dollari - è esposto ai rischi legati a possibili perturbazioni nei sistemi naturali.

In altre parole, anche il patrimonio degli investitori a livello globale è a “rischio natura”.

La perdita di capitale naturale: cosa fare ?

A conclusione dello studio, si suggerisce ai leaders aziendali di iniziare ad agire, almeno a livello di quantificazione e gestione dei rischi, per capire meglio quali pratiche commerciali proprie o delle imprese nella catena del valore portino alla perdita di natura, e come possano essere gestiti i rischi derivanti:

Potrebbe non passare molto tempo prima che il deterioramento della natura si ripercuota sui profitti dell'azienda. Per questo motivo, consigliamo ai dirigenti di mettere la natura sullo stesso piano del cambiamento climatico nella loro valutazione dei rischi”.

“Il rischio naturale è un rischio finanziario […]. Il business as usual non è più un’opzione e le imprese e la finanza non possono più considerare la natura e la biodiversità solo come una questione di responsabilità sociale d’impresa (CSR). Ora è decisamente una questione centrale e strategica di gestione del rischio
(Elizabeth Mrema, co-presidente della TNFD, ed ex segretaria esecutiva della CDB).

ET e PV


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