Italia come il Texas: il report di Legambiente sulla corsa all’oro nero in Italia

Secondo il dossier-denuncia di Legambiente "Texas Italia", presentato nei giorni scorsi durante la tavola rotonda "La minaccia del petrolio sul futuro sostenibile della Puglia", ad oggi in Italia si sta assistendo ad una vera e propria “corsa all'oro nero italiano”.

Secondo i dati del dossier sono stati rilasciati 95 permessi di ricerca di idrocarburi, di cui 24 a mare (interessando un'area di circa 11 mila chilometri quadrati), e 71 a terra (per oltre 25 mila kmq): a questi permessi già rilasciati devono aggiungere le 65 istanze presentate solo negli ultimi due anni (di cui ben 41 a mare per una superficie di 23 mila kmq).

Le ricerche petrolifere saranno effettuate soprattutto in mare, anche nelle Aree marine protette: in particolare saranno interessati il mar Adriatico centro-meridionale, lo Ionio e il Canale di Sicilia.

Legambiente informa che tra le ultime istanze presentate c'è anche la richiesta della Petroceltic Italia per permessi di ricerca nell'intero specchio di mare compreso tra la costa Teramana e le isole Tremiti, isole già minacciate anche da un'altra richiesta per un'area di mare di 730 kmq a ridosso delle isole.

Forte attività anche nel mare e sulle coste sarde, sulle quali pendono due recenti istanze della Saras e due più vecchie della Puma Petroleum, per un totale di 1.838 kmq nel golfo di Oristano e di Cagliari; la stessa società detiene una richiesta anche nello specchio di mare tra l'isola d'Elba e quella di Montecristo, 643 kmq in pieno Santuario dei Cetacei all'interno del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano.

L'Italia sembra confermarsi come il Paese con più idrocarburi dell'Europa continentale e quindi è molto ambita dalle grandi compagnie petrolifere che commissione studi e prospezioni sul nostro territorio. Attualmente nei mari italiani operano 9 piattaforme per un totale di 76 pozzi, da cui si estrae olio greggio: due sono localizzate di fronte la costa marchigiana (Civitanova Marche - MC), tre di fronte quella abruzzese (Vasto - CH) e le altre quattro nel canale di Sicilia di fronte il tratto di costa tra Gela e Ragusa.

Sulla terra ferma invece le aree del Paese interessate dall'estrazione di idrocarburi sono la Basilicata, storicamente sede dei più grandi pozzi e dove si estrae oltre il 70% del petrolio nazionale proveniente dai giacimenti della Val d'Agri (Eni e Shell), l'Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia, il Molise, il Piemonte e la Sicilia.

Recentemente è partita una nave commissionata dalla Shell che ha il compito di eseguire studi e prospezioni per individuare risorse di idrocarburi vicine all’Area Marina Protetta delle isole Egadi, che come si sa basano la loro economia prevalentemente su turismo e pesca (si veda anche il video L'affare delle trivellazioni nel mare della Sicilia proposto di seguito).

Complessivamente lo scorso anno in Italia sono state estratte 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, circa il 6% dei consumi totali nazionali di greggio, ma secondo le stime del Ministero dello sviluppo economico, sono ancora recuperabili da mare e terra italiani 129 milioni di tonnellate ed ecco perché l'attività di ricerca si va facendo sempre più frenetica, paradossalmente quando a livello internazionale si sta riflettendo sul disastro ambientale nel Golfo del Messico causato dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della BP (British Petroleum).

Ricordiamo che le attività di ricerca ed estrazione di petrolio verrebbero vietate nella fascia marina di 5 miglia lungo l'intero perimetro costiero nazionale, limite che sale a 12 miglia per le Aree Marine Protette. Al di fuori di queste aree, le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi verrebbero sottoposte a valutazione di impatto ambientale (Via). La norma si applicherebbe anche ai procedimenti autorizzativi in corso.

Stefano Ciafani (Responsabile scientifico di Legambiente): “Si tratta di un provvedimento dall'efficacia davvero relativa La norma non si applica infatti a pozzi e piattaforme esistenti. E poi cosa cambierebbe se un incidente avvenisse in un pozzo o una piattaforma localizzata al di là di 5 o 12 miglia dalle coste? In caso di incidente sarebbe comunque un dramma per i nostri mari e per il Mediterraneo. Se spostassimo, infatti, la marea nera che sta inquinando il Golfo del Messico nell`Adriatico la sua estensione si spingerebbe da Trieste al Gargano”.

Ma mettere a repentaglio l'ambiente ed una fetta dell'economia di alcuni territori basata su turismo e pesca vale almeno la pena? Parrebbe di no dato che l'Italia consuma 80 milioni di tonnellate di petrolio l’anno,  e quindi le riserve di oro nero made in Italy agli attuali ritmi di consumo consentirebbero al nostro paese di tagliare le importazioni per soli 20 mesi.

Quindi la ricerca non serve per il mix energetico ma per far arricchire le imprese straniere che hanno fiutato il business e trovano la "strada aperta" visto che specialmente in mare per avere un permesso di ricerca non è necessario sentire nemmeno le istituzioni locali.

Inoltre il gioco non vale la candela neanche dal punto di vista occupazionale- sottolineano da Legambiente- dato che le ultime stime di Assomineraria quantificano la rilevanza economica e occupazionale del settore estrattivo in Italia come segue: un risparmio di 100 miliardi di euro nelle importazioni di greggio dall'estero nei prossimi 25 anni e la creazione di 34mila posti di lavoro.

Ciafani: “Anziché investire nella folle corsa all'oro nero e all'atomo si dovrebbe puntare con decisione sullo sviluppo di efficienza energetica e fonti pulite, un settore capace di creare solo in Italia dai 150 ai 200 mila posti di lavoro entro il 2020 e capace di traghettare il paese verso un'economia a basso tenore di carbonio, una trasformazione necessaria, visti gli obiettivi vincolanti degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici, a partire da quello Europeo fissato per il 2020”.

E sul dossier è intervenuto anche Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd: “Stop alle nuove trivellazioni petrolifere nei nostri mari. La tragedia del Golfo del Messico impone che anche nel nostro paese si avvii un'indagine per verificare lo stato di sicurezza delle piattaforme attive e delle trivellazioni esplorative nei nostri mari. In Italia ci sono molti fronti aperti che destano preoccupazione”.


Lo Staff di Rete Clima®



Qui la pagina del report "Texas-Italia" sul sito di Legambiente