Il petrolio del picco: remoto, costoso, insicuro

Una immagine che fa riflettere. In figura si vede la massima profondità sottomarina raggiunta dalle piattaforme offshore negli ultimi 15 anni: se nel 1994, la massima profondità marina a cui si trivellava era inferiore ai mille metri, oggi si sono raggiunti i tremila metri di mare prima di raggiungere la roccia da perforare……per poi dover perforare altre migliaia di metri per raggiungere il giacimento.

Questa immagine parla chiarissimo: non tanto a proposito degli enormi passi operati dalla tecnologia estrattiva; e neppure delle nuove possibilità di sfruttamento petrolifere.

Parla di costi enormi per la trivellazione che –riteniamo- possano essere giustificati solo dalla NECESSITA’ di accedere a pozzi sempre più remoti……..dato che quelli tradizionali a più facile accesso sono ormai poco produttivi.

Questa considerazione fa riflettere anche sui rilevanti proclami circa grandi giacimenti petroliferi ancora da sfruttare: se le condizioni d’accesso sono queste direi che c’è davvero poco da pensare a grandi avventure petrolifere nel futuro, dati gli enormi costi economici o le estreme condizioni di lavoro (vedi il Kazakistan) -e comunque- gli elevati rischi ambientali (il Golfo del Messico insegna).

Allora conviene dirlo chiaro: di petrolio ce n’è ancora, ma è il “petrolio della fine”. E’ il petrolio del post-picco,……..quello da “raschiare sul fondo del barile” (esempio quanto mai a tema).


Lo Staff di Rete Clima®