Report IPCC (AR6) sull’adattamento climatico: non è più tempo per le mezze misure

Report IPCC (AR6) sull’adattamento climatico: non è più tempo per le mezze misure

Il 28 febbraio 2022 è stato presentato il contributo del Working Group II al sesto ciclo (AR6) dell’IPCC sui cambiamenti climatici, dal titolo "Cambiamenti climatici 2022: impatti, adattamento e vulnerabilità".

Secondo il report IPCC, la crisi climatica è più veloce della nostra capacità di adattamento e qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione rischia di non garantire un futuro vivibile per l’umanità.

I report IPCC

L'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate change) è l'organismo delle Nazioni Unite per la scienza del clima. È stato creato nel 1988 dall'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) e dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) per proporre ai leader politici strategie di adattamento e mitigazione e per fornire valutazioni scientifiche periodiche sui rischi climatici. Non per niente, nel Glasgow Climate Pact, approvato lo scorso novembre alla COP26, si fa ampio riferimento al report del Working Group I, uscito il 9 agosto.

L'IPCC non produce alcuna ricerca originale, piuttosto, valuta la letteratura scientifica pubblicata e sottoposta a peer-review e, ogni 6-7 anni, presenta il quadro completo risultante dall’analisi.

Il sesto rapporto di valutazione (AR6), così come i precedenti, comprende il contributo di tre gruppi di lavoro: WGI (la base scientifica fisica), WGII (impatti, adattamento e vulnerabilità) e WGIII (mitigazione), più un rapporto di sintesi finale.

Fonte: UN Foundation

Il report del WGII: rischi, vulnerabilità ed esposizione

Sono proprio i rischi, insieme a impatti, vulnerabilità e adattamento al cambiamento climatico, i temi principali analizzati dal Working Group II (WGII).

L’ultima valutazione globale (AR5) risale al 2014. In questi otto anni non solo la ricerca ha compiuto notevoli progressi nella conoscenza del sistema climatico, ma, soprattutto, ogni parte del pianeta ha sperimentato direttamente le conseguenze del cambiamento climatico, che si sono fatte sempre più evidenti.

Nel report, il rischio è definito come “il potenziale di conseguenze avverse per il sistema umano o ecologico; la sua entità è quantificabile valutando l’interazione dinamica tra i pericoli causati dal clima, l'esposizione e la vulnerabilità del sistema umano o ecologico colpito, secondo la nota equazione del rischio*.

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Credit: IPCC autori del WGII

Partendo da questa definizione, gli scienziati del WGII hanno identificando ben 127 rischi climatici chiave, valutati nell'ambito di cinque diversi “possibili futuri climatici“, associati a diverse traiettorie di emissioni climalteranti (i cosiddetti SSP, Shared Socio-Economic Pathway).

Purtroppo, il quadro complessivo che emerge è agghiacciante, come già aveva anticipato una bozza fatta trapelare da AFP lo scorso luglio. Gli scienziati hanno dovuto constatare una situazione ben più compromessa rispetto alle previsioni fatte nel precedente AR5.

Antonio Guterres, segretario dell’Onu, ha dichiarato in conferenza stampa:

Ho visto molti rapporti scientifici nella mia vita, ma nessuno come questo. L'odierno rapporto dell'IPCC è un atlante di sofferenza umana e un'accusa schiacciante di fallimento della leadership climatica”.

Il report più sociale tra tutti i report IPCC

Per la prima volta in un report IPCC, assistiamo ad una chiara integrazione tra scienze naturali, sociali ed economiche. Il mondo geofisico, quello degli ecosistemi e della biodiversità, la società umana vengono messi in relazione a dare una rete interconnessa: “Siamo tutti nodi della stessa rete“ (A. Pasini). La crisi climatica è inseparabile dalla crisi della biodiversità e dalla povertà e disuguaglianza di cui soffrono miliardi di persone. Nessuna soluzione è possibile se non si tiene conto del sistema nel suo complesso.

Ancora per la prima volta, l’IPCC riconosce che, laddove gli impatti del cambiamento climatico si intersecano con regioni ad alta vulnerabilità, essi contribuiscono e aggravano le crisi umanitarie: la fame e la mancanza di acqua, la povertà, le diseguaglianze sociali, le migrazioni e le guerre.

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Crediti: The Borgen Project. Accesso all'acqua in Kenya

È quindi “sbagliato definire la crisi climatica come una crisi ambientale, perché è a tutti gli effetti una crisi di sistema. E questo rapporto sottolinea l’interdipendenza tra clima e società, legando con un doppio nodo le scienze climatiche a quelle sociali ed economiche" (Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network)

La situazione dell’Europa: il Mediterraneo è un “hot-spot” del cambiamento climatico

Ci focalizziamo ora su quanto presentato riguardo all’Europa e, in particolare, alla regione mediterranea, cui è stato per la prima volta dedicato un intero capitolo.

Europa . Analisi nei due scenari di +1,5°C (parte sinistra) e di +3°C (parte destra).

Il Mediterraneo è considerato un vero e proprio “hotspot” del cambiamento climatico: si è riscaldato e continuerà a riscaldarsi più della media mondiale. Già oggi la temperatura media è di +1,5°C rispetto al livello preindustriale, contro una media globale di +1.1°C.

Gli scienziati dell’IPCC identificano quattro categorie di rischi chiave per l'Europa:

  • ondate di calore;
  • rischi per la produzione agricola;
  • scarsità di risorse idriche;
  • maggiore frequenza e intensità di inondazioni, a causa dell’innalzamento del livello del mare e dei cambiamenti nelle precipitazioni.

La risorsa “acqua” è, e sarà, la più critica nell’area mediterranea, come purtroppo testimonia la siccità in Italia di questi mesi invernali. La domanda di risorse idriche eccede già oggi la loro disponibilità.

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Fonte: Arpa Piemonte. Anomalie di precipitazione nei mesi invernali 2021-2022

La regione diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazione e dell’aumento dell’evapotraspirazione; allo stesso tempo, però, ci sarà un peggioramento dell’intensità delle precipitazioni estreme. In tutti gli scenari esaminati, nell’Europa meridionale il numero di giorni con insufficienti risorse idriche è destinato ad incrementare: nel caso, molto probabile, di un aumento a +1,5°C, la scarsità idrica riguarderà il 18% della popolazione, a +2°C la percentuale sale al 54%.

Ci saranno perdite rilevanti in termini di produzione agricola nella parte meridionale del continente, che non saranno compensate che in parte dai guadagni attesi per l’Europa settentrionale.

Il numero di decessi e di persone a rischio di stress da calore raddoppierà o triplicherà in uno scenario di +3°C al 2100.

Il livello del mare aumenterà seguendo la media globale, “raggiungendo valori potenzialmente prossimi al metro nel 2100, in caso di un alto livello di emissioni”. Purtroppo, sarà” irreversibile e progressivo”, anche nel caso in cui riuscissimo a stabilizzare le concentrazioni di gas serra.

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I quattro rischi-chiave per l'Europa nel caso di scarso o medio adattamento

I fattori di vulnerabilità del Mediterraneo

Il rapporto evidenzia molteplici fattori che rendono il bacino del Mediterraneo particolarmente vulnerabile, tra cui:

  • una popolazione urbana numerosa e in crescita, spesso concentrata in insediamenti esposti all'innalzamento del livello del mare;
  • una grave e crescente carenza idrica, sperimentata già oggi dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente, parallela ad una maggiore richiesta di acqua per l'irrigazione;
  • elevata dipendenza economica dal turismo, in pericolo anche per le politiche internazionali di riduzione delle emissioni sui viaggi.

Adattamento e mitigazione: due facce della stessa medaglia

Il report del WGII si concentra sull’adattamento; la mitigazione sarà oggetto del report del WGIII, in uscita ad aprile.

Quale la differenza? Sono entrambi necessari?

Come definito dall’UNFCCC, l’adattamento è l’insieme degli “aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali o economici in risposta a stimoli climatici in atto o previsti e ai loro effetti”. Il termine si riferisce dunque alle azioni finalizzate a ridurre i danni causati dal cambiamento climatico.

Le soluzioni di adattamento prendono molte forme a seconda delle diverse realtà locali: costruzione di barriere contro le inondazioni, creazione di sistemi di monitoraggio ed allarme, adozione di colture resistenti alla siccità, riprogettazione degli edifici.

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Crediti: MOSE https://www.mosevenezia.eu/

La mitigazione, invece, consiste nelle azioni messe in atto per ridurre le emissioni di gas climalteranti o per potenziare i pozzi naturali di riassorbimento.

Usando le parole del fisico Filippo Giorgi: con l’adattamento si punta a gestire l’inevitabile, con la mitigazione a evitare l'ingestibile.

I limiti dell’adattamento

Secondo gli scienziati dell’IPCC, per quanto riguarda l’adattamento, sono stati fatti passi in avanti in tutti i settori e in tutte le regioni, con molti benefici.

Ma questi progressi non sono uniformi: purtroppo, in alcune zone sono stati intrapresi progetti per limitare i rischi climatici solo nel breve termine, frenando così l’opportunità di una trasformazione più profonda con benefici a lungo termine. Per definire questi casi è stato coniato un nuovo termine: “maladaptation”.

Inoltre, è sempre più ampio il divario tra le azioni intraprese e ciò che è necessario fare, soprattutto nei paesi non sviluppati. In particolare, negli ultimi anni, solo il 4-8% dei finanziamenti per il clima è andato ai progetti di adattamento, mentre la maggior parte è stata finalizzata alla riduzione delle emissioni. Limite, questo, che chiaramente dipende dalla volontà politica e che è già stato al centro dei dibattiti durante la COP26 di Glasgow.

Dobbiamo investire la metà della finanza climatica in adattamento”, ha ribadito Guterres.

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Salvaguardare la natura

Per realizzare un adattamento efficace e resiliente la soluzione può essere “affidarci alla natura”.

Dobbiamo “lasciare che la natura faccia il lavoro che ha impiegato milioni di anni a perfezionare. Sostenere la natura è il modo migliore per adattarsi e rallentare il cambiamento climatico, fornendo al contempo posti di lavoro e rilanciando le economie”. (Inger Andersen, direttore esecutivo UNEP)

L’adattamento, nell’accezione usata dagli scienziati del WGII, è infatti un concetto fortemente legato a quello di resilienza, cioè “la capacità degli sistemi sociali, economici e ambientali interconnessi di far fronte a un pericolo o a una perturbazione, rispondendo o riorganizzandosi in modi che mantengano la loro funzione essenziale, l'identità e la struttura”.

Ecosistemi in salute sono più resilienti di fronte ai cambiamenti climatici e forniscono servizi essenziali per la vita, come cibo e acqua. Ripristinando gli ecosistemi degradati e conservando efficacemente ed equamente il 30-50% degli habitat terrestri, d’acqua dolce e marini, le società umane possono trarre beneficio dalla capacità della natura di assorbire e immagazzinare carbonio” (Hans-Otto Pörtner, copresidente del WGII).

La natura, minacciata dal cambiamento climatico, rappresenta allo stesso tempo una soluzione.

Adattamento ma anche mitigazione: il Climate Resilient Development

L'adattamento può aiutare l'umanità a gestire i rischi crescenti, ma, da solo, non sarà sufficiente. Deve essere abbinato ad una drastica ed urgente mitigazione.

Da una parte, infatti, l’adattamento ha limiti “soft”, che si possono superare in quanto dipendono dall’azione umana: fondi insufficienti, mancanza di volontà politica. Dall’altro lato, però, alcuni impatti del cambiamento climatico non conoscono adattamento. Si parla di limiti "hard": ad esempio, l’uomo non può vivere in luoghi con una temperatura di bulbo umido superiore a 35°C; se anche riuscissimo a contenere l’incremento di temperatura a soli +1,5°C, avremmo comunque conseguenze irreversibili, come l'estinzione di alcune specie e l’aumento del livello del mare.

Nel caso di superamento dei +1,5°C, poi, “la capacità di adattamento risulterà ancora più limitata e avrà un’efficacia ancora più ridotta. Maggiore sarà il riscaldamento del pianeta, più limitata e costosa sarà la capacità di adattamento” (Piero Lionello, coautore italiano del report).

Gli scienziati dell’IPCC propongono un modello di sviluppo resiliente al clima (Climate resilient development), da ottenere unendo adattamento e mitigazione: "un processo di implementazione della mitigazione dei gas serra e delle soluzioni di adattamento per sostenere lo sviluppo sostenibile per tutti”.

Realizzarlo è già adesso, a +1,1°C rispetto alla media preindustriale, una sfida complessa; questo obiettivo sarà ancora più difficile da raggiungere sopra i 1,5° C; sopra i 2°C, in alcune regioni diventerà impossibile.

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Il limite dei +1,5°C, e non dei 2°C, concordato a Parigi e ribadito nel “Glasgow Climate Pact”, quindi, è davvero una barriera da non oltrepassare, perché ci permetterebbe di gestire i rischi residui di livello moderato con l’adattamento.

Bisogna agire con urgenza

Un futuro vivibile rimane a portata di mano, ma "ogni ulteriore ritardo nell’azione concertata a livello globale farà perdere quella breve finestra temporale – che si sta rapidamente chiudendo – per garantirlo" (Hans-Otto Pörtner)

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Il lavoro del WGII sarà seguito ad aprile da un ulteriore contributo da parte del Working Group III, relativo alle azioni di mitigazione.

Questi due documenti, insieme al rapporto WGI dell'estate scorsa e al prossimo report di sintesi, saranno importanti input per i negoziati della prossima COP 27 di novembre. Il sesto ciclo di valutazione nel suo complesso sarà anche un ottimo spunto per il Global Stocktake del 2023, il processo di revisione dei progressi dei Paesi verso il raggiungimento degli obiettivi dell'accordo di Parigi.

Staff di Rete Clima

* R=P x V x E (R = rischio, P = pericolosità (hazard), V = vulnerabilità, E = esposizione)

Per calcolare il rischio, occorre valutare non solo la probabilità di accadimento di un certo evento avverso (pericolosità), ma anche la vulnerabilità e l’esposizione dei sistemi umani o ecologici interessati. Per vulnerabilità si intende la predisposizione a registrare un danno a seguito dell'evento (bassa, ad esempio, per un edificio antisismico); l'esposizione invece rappresenta il valore, ad esempio economico, o il numero di unità degli elementi che possono essere coinvolti nell’evento avverso (ad esempio il numero di persone, le infrastrutture, i mezzi di sussistenza, le specie animali o vegetali).


Il report è scaricabile al seguente link: https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg2/downloads

La documentazione fornita dal CMCC, focal point dell’IPCC per l’Italia, è disponibile al link: https://ipccitalia.cmcc.it/impatti-adattamento-e-vulnerabilita/


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