Big Oil e greenwashing: una comunicazione fuorviante ed inopportuna

Big Oil e greenwashing: una comunicazione fuorviante ed inopportuna

La questione non è banale: soprattutto in questi ultimi periodi la contraddizione della comunicazione green di aziende con il core business strettamente collegato al mondo del petrolio sta emergendo in tutta la sua portata.

A questo proposito vogliamo segnalare a seguito un paio di casi recenti.

L'ente non profit Client Earth, che riunisce Avvocati ed esperti ambientali che collaborano per lo sviluppo di un sistema legale internazionale a difesa dell'ambiente, ha citato in giudizio BP (British Petroleum) per greenwashing ("tinteggiatura di verde"): si tratta della pratica di comunicazione green utilizzata da aziende inquinanti per coprire situazioni e comportamenti ambientalmente impresentabili.

L'accusa è interessante: secondo ClientEarth, nell'ambito delle proprie campagne di comunicazione il colosso petrolifero (insieme a diversi altri colleghi) avrebbe ingannato i cittadini proponendosi come attore di cambiamento verso energie pulite, continuando invece ad investire sulle solite "vecchie" e sporche fonti energetiche fossili (che oggi peraltro rischiano di essere anche economicamente poco redditizie!)

Bilanci alla mano, secondo l'accusa di ClientEasrth il business di BP e di una serie di altre importanti Big Oil resta saldamente collegato ai quei combustibili fossili che dovranno essere in larga parte mantenuti sottoterra, per evitare di raggiungere il punto di non ritorno climatico.

Sophie Marjanac, Avvocato in ClientEarth: “Mentre gli spot di Bp parlano di energia pulita, in realtà oltre il 96% del capitale societario continua a essere investito sul gas e sul petrolio”.

Tanto che la proposta è quella di trattare la comunicazione delle aziende petrolifere come la comunicazione del tabacco, segnalando cioè che dietro a tanta immagine ambientale c'è comunque un business pericoloso, orientato all'incremento del riscaldamento climatico.

Un parallelo peraltro interessante, data la comune strategia di disinformazione che -in tempi ed in campi differenti- entrambi i settori economici del tabacco e del petrolio hanno attuato per confondere i cittadini e rallentare le azioni di contrasto al proprio insostenibile business.

Altro caso recente ed interessante è l'importante e recente inchiesta di InfluenceMap, Impresa sociale inglese che analizza dati economici collegati con la crisi climatica, ha ulteriormente scoperto che dal 2015 in poi (il peirodo della storica COP 21 di Parigi) un gruppo di Big Oil ha speso più di un miliardo di dollari in attività di branding e di lobbying.

Parliamo di ExxonMobil, Shell, Chevron, Bp e Total, che nel solo nel 2018 hanno investito quasi 200 milioni di dollari in campagne di comunicazione ambientalmente orientate, volte a presentarsi ad azionisti e stakeholders quali aziende responsabili all’ambiente: investendo in queste campagne la medesima somma economica investita invece per ostacolare le politiche climatiche.

Oggi c'è maggiore informazione e consapevolezza sui temi climatici rispetto al passato, ma siamo anche in una situazione di crisi climatica mai vista prima, che va affrontata con altrettanta urgenza e determinazione mai vista prima: queste azioni di greenwashing riescono ad essere meno incisive rispetto al passato, ma rischiano comunque di rallentare l'urgente corsa verso il contenimento del climate change.

In questo senso è interessante ed importante la posizione del Ministro Fieramonti espressa alla COP 25 a Madrid alla COP 25 verso ENI, la più grande azienda energetica nazionale:

Abbiamo già parlato più volte su questo sito degli “stranded assets” in pancia alle compagnie petrolifiere, che prima o poi esploderanno nella grande "bolla del carbonio".

Correttamente Fioramonti ha quindi inteso dire proprio questo, con queste parole: "Il petrolio che hanno in pancia non sarà più una risorsa, ma un costo. Quindi io mi preoccupo per l’economia italiana e per un colosso che si potrebbe trovare, da qui a 20 anni, nelle condizioni di non riuscire a sostenere il proprio debito".

Sempre alla recente COP 25 a Madrid è emerso ancora una volta il problematico rapporto tra compagnie energetiche e comunicazione green: alcune tra le maggiori società energetiche spagnole sono state tra i principali sponsor della convention globale che dovrebbe orientare gli obiettivi globali di contrasto al cambiamento climatico, limitando l'uso proprio dei combustibili fossili.

Fare in fretta e fare bene, per cambiare questa economia carbon-based che rischia anche di essere estremamente pericolosa per il nostro futuro.

Stiamo a vedere i risultati di questa COP 25, che a breve dovrebbe chiudere.

Lo Staff di Rete Clima