Si è conclusa la COP30 a Belém: delusione e nessun impegno di abbandono delle fonti fossili

Si è conclusa la COP30 a Belém: delusione e nessun impegno di abbandono delle fonti fossili

Forse buona parte delle persone non si è accorta che sabato 22 novembre si è chiusa la COP30 a Belém, in Brasile.

E forse in diversi non si erano nemmeno accorti che la COP era cominciata: sono lontani i tempi di Copenhaghen 2009 o di Parigi 2015, in cui i lavori dei delegati e i risultati erano parte integrante della cronaca mainstream.

Una COP che per alcuni ha rappresentato una sorta di funerale del multilateralismo in ambito climatico, esattamente quanto auspicava Trump.

Forse non è così ed il multilateralismo climatico è ancora vivo, forse si è dato appuntamento l’anno prossimo in Turchia, ma sicuramente i buoni propositi brasiliani si sono scontrati con la realtà politica dei negoziati che si svolgono nell'ambito delle Nazioni Unite che stanno vivendo una crisi in numerosi propri ambiti d’azione.

Fonte immagine: /cop30.br/

Il presidente brasiliano Lula da Silva l’aveva presentata come la COP della verità e dell’implementazione, organizzandola in piena foresta amazzonica, sfidando i problemi logistici per portare il negoziato e i delegati dentro quello che tutti consideriamo il principale polmone del pianeta. Il cui futuro è peraltro direttamente legato agli esiti della COP stessa.

Non è semplice districarsi in tutti i pezzi che compongono il puzzle dei risultati di una COP, questa in particolare. Di seguito proviamo a fare sintesi degli aspetti che riteniamo più significativi.

Il “Global Mutirão: Uniting humanity in a global mobilization against climate change è il documento finale rilasciato dalla COP: ha un nome molto significativo, dal momento che Mutirão significa infatti “sforzi collettivi” nella lingua indigena Tupi-Guarani. Sforzi collettivi che non sono però concretizzati da strumenti specifici né da una roadmap chiara.

Si tratta di fatto di una sintesi politica che dà la speranza (l’illusione?) di aver garantito ancora una volta il multilateralismo sotto l’egida delle Nazioni Unite, quindi di aver mostrato che questi processi - in linea teorica - potrebbero ancora funzionare.

Ma, nonostante le buone intenzioni e dichiarazioni di molti leader, a livello di contenuti attesi non vengono mai citate le fonti fossili di energia: ci si attendeva invece, fin dallo scorso anno, che si facesse un passo avanti individuando una data con l’obiettivo comune di smettere di estrarle ed utilizzarle, verso la vera transizione energetica ad un futuro rinnovabile.

Nel processo di stesura del documento finale è stata trascurata la voce della scienza: si è perso ogni riferimento ai contenuti dei rapporti e dei modelli climatici che mostrano che oramai la soglia di 1,5°C è stata oltrepassata e che solo la transizione dalle fonti fossili potrà farci tornare nella giusta traiettoria, a patto che lo si faccia in tempi rapidi.

In realtà la soglia di riscaldamento di +1,5°C rispetto all’era pre industriale rimane il riferimento ma solo in termini politici: bisogna ricordare che, considerando gli attuali NDC (Nationally Determined Contributions, cioè i piani d’azione per il clima che ogni Paese aderente all’Accordi di Parigi deve avere), lo scenario è indirizzato verso un aumento di temperatura di ben 2,5°C.

Per quanto riguarda la finanza climatica viene chiesto uno sforzo per triplicare i fondi per l’adattamento entro il 2035, con l'obiettivo di mobilitare almeno 300 miliardi di dollari all'anno dai Paesi sviluppati, un risultato considerato debole dai Paesi meno sviluppati.

Nell’ambito dell’adattamento, è stato adottato il Global Goal on Adaptation (GGA) che era stato lanciato nel 2023 a Dubai : potrebbe essere una buona notizia ma la sua attuazione resta in sospeso visto che i finanziamenti sono delegati al Global Mutirão che non dà concretezza.

La Belém-Addis Vision è lo strumento che dovrà portare questa concretezza nella COP del 2027 ad Addis Abeba così come fortemente voluto dai Paesi africani.

La Vision sottolinea ancora di più la dimensione sociale e di giustizia dell’adattamento e fa riferimento per la prima volta alle persone con ascendenza africana nelle categorie vulnerabili, con bambini, giovani, persone con disabilità, popolazioni indigene, comunità locali e migranti.

Fonte immagine: www.rainews.it

Altro elemento importante è la cosiddetta giusta transizione: nel testo finale pubblicato su questo tema si fanno passi avanti per la giustizia sociale e si promuovono diversi elementi tra cui cooperazione internazionale, diritti umani, lavoro dignitoso, diritto ad un ambiente di vita sano, e viene creato un Meccanismo di Giusta Transizione sotto la spinta della società civile.

Viene richiamata anche l’importanza dell’accesso universale all’energia, potenziando le energie rinnovabili e soluzioni a basse emissioni di gas serra.

Non è però richiamata in alcun modo la mitigazione climatica né l’abbandono delle fonti fossili: elementi che sarebbero fondamentali per perseguire davvero la giusta transizione.

In conclusione bisogna però sottolineare l’iniziativa guidata dalla Colombia che, assieme ad altri 24 paesi, ha promosso la Belém declaration for transitioning away from fossil fuels.

Nella prossima primavera (28-29 aprile 2026) a Santa Marta, si terrà una conferenza per mettere a terra gli strumenti concreti per realizzare questa transizione dai combustibili fossili: speriamo davvero possa essere un appuntamento significativo.

Resta un’ultima domanda da farci: qual è stato il ruolo dell’Italia? Si può sintetizzare molto rapidamente: ruolo totalmente marginale, a tratti imbarazzante per le posizioni anticlimatiche, nonostante l’ostentata positività trasmessa sui canali social del MASE e sugli altri canali istituzionali.

L'Italia si è infatti distinta in negativo, componendo un terzetto assieme a Polonia e Ungheria quali unici Paesi europei contrari ad una visione comune UE rispetto all’abbandono delle fonti fossili, senza peraltro aver mai partecipato attivamente a nessuna iniziativa ufficiale o collaterale.