La storia del leone e della gazzella: ecco perché fatichiamo a credere al riscaldamento climatico

La storia del leone e della gazzella: ecco perché fatichiamo a credere al riscaldamento climatico

Un conto è il rischio “reale” ed un conto è la “percezione del rischio”, cioè la consapevolezza, la coscienza che abbiamo di quel rischio.

Ed è molto importante distinguerli, dato che è SOLO la consapevolezza di un rischio che ci spinge a muoverci, ad attivarci, a prendere contromisure…indipendentemente dal fatto che quel rischio sia reale, concreto, importante, magari addirittura letale.

Sembra paradossale ma “funzioniamo così”, esattamente come tutti gli altri animali: anche perché, non dimentichiamolo, l’uomo biologicamente appartiene al Regno degli Animali.

E in questa logica noi riusciamo ad “attivarci” verso azioni di auto-tutela (individuale e collettiva) solo nella misura in cui percepiamo un rischio come reale, concreto, vicino, immediato, grave: altrimenti, seppure il rischio sia realmente importante, semplicemente non lo consideriamo, non ce ne curiamo.

Magari pagandone importanti conseguenze.

Il fatto è che la natura ci ha “programmato” proprio in questo modo, per essere pronti a reagire a stimoli che hanno effetti concreti ed immediati: è per questo che la gazzella scappa davanti al leone, perché sa che quello è un pericolo grave per la propria incolumità…e quindi si autotutela.

Niente di più lontano da quanto capita allora con il riscaldamento climatico, che invece si costituisce come un fenomeno ambientale “lontano” nel tempo e nello spazio rispetto al mio quotidiano, alla causa che lo determina: le emissioni di gas serra, che oggi contribuisco a generare per tramite dei miei consumi, determineranno effetti lontani nel tempo e nello spazio, colpendo magari zone lontane da dove io vivo e che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del riscaldamento climatico.

Le mie emissioni di gas serra odierne probabilmente contribuiranno ad aumentare tra anni l’intensità dei monsoni in India o della siccità in Kenya...esattamente la situazione “peggiore” per poter stimolare in me una corretta percezione del rischio climatico.

Un rischio che, se anche non fossimo particolarmente interessati alle sorti degli Indiani o dei Keniani (sob!), comunque prima o poi arriverà a coinvolgere direttamente o indirettamente anche noi, la nostra vita, la nostra casa, la nostra famiglia.

E poi, come gli animali appunto, impariamo dall’esperienza e tendiamo a ripetere mentalmente le medesime logiche causa-effetto legate a esperienze passate, da cui abbiamo tratto insegnamenti, che ci hanno “educato”: nel caso del cambiamento climatico, però, fatichiamo a capire l’esatto legame causale tra inquinamento passato e l’attuale scenario di alterazione ambientale di molte aree del Mondo, proprio perché si tratta di una relazione “cognitivamente nuova” che non ci aiuta a cogliere il nesso causale tra comportamenti ed eventi.

O comunque, pur essendo una situazione nuova, tendiamo psicologicamente ad interpretarla "per similitudine" con altre situazione che noi reputiamo simili, ma che magari simili non sono, adottando quindi comportamenti non idonei (approfondimento psicologico: le “euristiche cognitive”).

E poi ci sono i negazionisti climatici, quei soggetti che per interesse ci hanno spesso detto che non è vero che ci sia il riscaldamento climatico, una affermazione a cui volentieri crediamo perché “ci fa comodo”, perché è più facile cullarsi nell’idea che non ci sia alcun rischio reale e che quindi non dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere/lavorare/consumare, che allora potrà continuare indefinitamente nel tempo.

Un po’ come è successo con il tabacco, di cui evidentemente oggi tutti abbiamo consapevolezza del fatto che possa aumentare l'incidenza tumorale nei fumatori, ma i cui rischi dagli anni ’60 del secolo scorso sono stati sistematicamente presentati come esagerati o non reali: la storia ci racconta di una sistematica campagna di negazionismo scientifico promossa e finanziata dalle Aziende del tabacco, per evitare che insorgesse una consapevolezza sanitaria nei fumatori circa i rischi a cui andavano incontro con il loro comportamento di fumatori. Per evitare così che potesse nascere in loro una reale “percezione del rischio”, la prima e necessaria condizione per poter prendere provvedimenti di autotutela.

Esattamente come molte aziende petrolifere hanno fatto nei confronti del cambiamento climatico, disinformandoci circa i rischi climatici, perché una popolazione sensibile alla relazione petrolio-emissioni-cambiamento climatico avrebbe potuto essere pericolosamente contraria al business petrolifero: e questa è storia, non complottismo.

Ma ritornando al fumo, se oggi è invece è chiaro che “fumare fa (molto) male” perché moltissime persone ancora fumano? Questo comportamento anti-sanitario è basato su una serie di ipotesi distorte, che non ci autotutelano. A fronte infatti di un piacere immediato e di un rischio sanitario che non è certo al 100% (non a tutti i fumatori viene necessariamente un tumore ai polmoni), molti “rischiano”: anche perchè comunque gli eventuali effetti sanitari saranno lontani nel tempo (ci si ammala solo dopo molti anni di fumo), quindi percepiti come "distanti", non concreti, quindi -paradossalmente- meno pericolosi.

Il problema rispetto al rischio climatico è che purtroppo siamo invece ancora in una fase in cui non c’è neppure la chiara consapevolezza in molti circa il fatto che….sia un problema!, e quindi men che meno c’è la consapevolezza che “serve agire” per il suo contrasto immediato.

Riscaldamento climatico che è invece un rischio reale, concreto, importante, vicino…e dannatamente serio!

Un rischio che può compromettere la vivibilità di ampie zone del pianeta, l’approvvigionamento alimentare, la disponibilità delle risorse idriche, può accrescere il rischio idrogeologico…danneggiare insomma in maniera irreversibile il Pianeta, che è la nostra casa. E quindi, in definitiva, danneggiare l’uomo.

Quindi, per concludere: il rischio climatico è reale ma spesso non è percepito come tale per tutte le dinamiche psicologiche di cui sopra, ma anche perché siamo stati abbondantemente disinformati da chi aveva interesse a proseguire con business climaticamente non sostenibili.

Una disinformazione che ci ha proposto un percorso di “negazionismo climatico” che dapprima ci ha presentato il rischio climatico come falso (“non esiste il riscaldamento climatico”), in un secondo tempo come esistente ma non causato dell’uomo, poi come esistente e causato dall’uomo ma troppo costoso da gestire, in ultimo come un rischio verso cui è troppo tardi intervenire.

Ma se anche così fosse (e non è vero, non è ancora così tardi), ricordiamoci che il pianeta Terra è la nostra (unica) casa, e dobbiamo tutelarla. Fosse anche non per questioni “etiche” o di responsabilità, ma puramente per nostro interesse!

Se la vostra casa fosse gravemente colpita dalle fiamme non chiamereste i pompieri per cercare di salvare il salvabile?

E se facessimo noi i "pompieri del pianeta", modificando i nostri comportamenti per salvare il nostro clima e la nostra sopravvivenza sul Pianeta Terra?

PV per Rete Clima